Fiat Dux! Le post-democrazie

Massima dell’anno: “Tutti scontenti”. Gli uni, perché non hanno ottenuto abbastanza; gli altri perché hanno concesso troppo. Nel sistema mondo, stiamo parlando dei soggetti autocratici, opposti a quelli democratici. Solo che, come in tutte le famiglie meticciate, i due schieramenti contengono un po’ del gene delle ragioni dell’uno, un po’ di quelle dell’altro. Così, mentre Donald Trump vorrebbe resecare gli strani gemelli dell’Orso e del Dragone uniti per il dorso, separando la Russia dalla Cina (il che equivale all’antipolitica di Henry Kissinger), il suo contraltare, Vladimir Putin, vorrebbe contestualmente separare l’Europa dagli Usa, in modo da ricostruire di fatto una nuova Yalta. In questo caso, per fattori geo-strategici ed economici, la Russia, ricchissima in materie prime e superarmata grazie alla sua recente economia di guerra, sarebbe destinata a pesare ben più della vecchia Unione europea. Insomma, in uno slogan d’effetto, si potrebbe denotare il resto del secolo che verrà con il motto: “Fiat Dux!”, in cui sostanzialmente siano tre, quattro leader mondiali a spartirsi più o meno equamente le terre emerse. Ora, però, se è naturale partorire unioni, come è accaduto con la Comunità europea e poi con l’Unione europea allargata agli ex Paesi del Patto di Varsavia dopo la dissoluzione dell’Urss, non è così semplice fare il contrario, rimettendo il genio unitario nella lampada scissionista.

Anche perché, nel frattempo, il fratellastro americano ha messo profonde radici nel Vecchio continente, prima aiutandoci a vincere due guerre mondiali contro le tirannidi tedesco-prussiane, e poi unendosi a noi per il cordone immateriale degli scambi commerciali e della borsa. In quest’ultimo caso, sarebbe meglio parlare al plurale, riunendo in un unico salvadanaio Wall Street, la City di Londra e l’euromercato di Francoforte. Per cui, oggi, il temuto disaccoppiamento tra le due sponde dell’Atlantico non si sa a chi dei due farebbe più male. Invece, da questo punto di vista, è soltanto tollerabile un contenuto disallineamento Usa-Ue, perché se viceversa il mix delle due strategie geopolitiche (separazione Stati Uniti-Europa; distanziamento Russia-Cina) dovesse trovare contemporanea attuazione, allora non v’è dubbio che, a questo punto, Mosca e Washington si troverebbero, con ogni probabilità, ad agire unite per disaccoppiare in futuro l’Europa dalla Cina. E questo più che scontato matrimonio Bruxelles-Pechino accadrebbe non tanto per dispetto (che sta tutto nell’immaginario dell’Europa-Venere tradita dall’America-Marte), quanto per pura necessità, dato che a noi conviene legare il nostro vagone lento a quello ultraveloce cinese soprattutto sull’Ai e sulle nuove tecnologie green, volendo mantenere i nostri obbiettivi sulle rinnovabili e sui motori elettrici. Infatti, solo intensificando gli scambi commerciali con il Celeste impero (e l’India!) potremmo compensare il forte downgrading delle nostre esportazioni verso gli Usa, una volta che Trump abbia riequilibrato a suon di dazi e sanzioni il suo deficit commerciale con i Paesi europei, Germania in primis.

Ma il “Fiat Dux!” non è solo un gioco di spartizione dei poteri, quanto di partizione reale delle vastissime aree del mondo che, comunque vada, saranno costrette volenti o nolenti a decidere da che parte agganciare i loro vagoni obsoleti, poveri e insicuri. E la partita sulle materie prime coinvolgerà ancora più pesantemente in futuro l’Africa e le sue immense ricchezze, in cui a perdere sarà sicuramente ciò che rimarrà dell’Europa, priva della forza delle armi e della credibilità necessaria per contenere le spinte eversive e le dinamiche golpiste dell’Africa centrale e di quella subsahariana. In futuro, per evitare disastrose migrazioni epocali di massa dal Continente nero, l’Europa sarà costretta a tornare indietro sulle questioni del diritto all’accoglienza, ricorrendo a respingimenti e chiusura delle frontiere, simmetricamente a quanto dovranno fare l’America e le sue future amministrazioni. Il fine-partita sull’Ucraina sarà lo stress-test preliminare delle future configurazioni d’equilibrio geopolitico, che proseguirà con i suoi tratti instabili per tutto il resto del XXI secolo. Questo perché il “Fiat Dux!” non potrà nemmeno sfiorare l’Europa di Bruxelles, concepita come una lumaca con il peso di due elefanti, la cui forza è presa in trappola da un intreccio inestricabile di vincoli regolamentari, anche perché priva di un “Capo” della (inesistente) Federazione, che possa trattare alla pari con gli altri Dux mondiali.

Storicamente, il parto alla rovescia verso la disgregazione dell’Unione è iniziato al momento stesso in cui alcuni suoi Paesi membri hanno sviluppato al loro interno partiti e assetti di potere facenti capo alle destre sovraniste filo russe, destinate a divenire in un imminente futuro democraticamente maggioritarie. Paradossalmente, questa deriva verso le democrature e le democrazie illiberali ha ricevuto la sua massima spinta       emocratica (elettori che votano emotivamente) con il trionfo di Maga nelle elezioni americane, in cui il nemico comune è proprio la liberaldemocrazia. Quest’ultima franata miseramente, a seguito della crisi irreversibile dell’ideologia woke e del crollo del mito della supremazia del diritto internazionale, e delle istituzioni onusiane multilaterali. Ora, affinché il potere reale ridiscenda verso il basso, restituendo voce al popolo sempre più maltrattato, prima o poi si dovrà finalmente tornare a ragionare e a produrre idee sul superamento di questa morte cerebrale della democrazia, in cui sempre di più comanderanno le lobby tecno-finanziarie degli affari e del digitale, per cui un popolo che a loro giudizio vota male va commissariato. Per il momento, la risposta che viene dalla Germania conferma la crisi delle democrazie europee e la loro sconfitta (temporanea?) a fronte del decisionismo trumpiano, soprattutto per quanto riguarda la fine ingloriosa dell’ennesima guerra europea in Ucraina. Servirà a qualcosa?

Aggiornato il 25 febbraio 2025 alle ore 12:57