I punti fermi della discussione tra Usa e Russia

Vi sono alcuni punti più o meno fermi nella discussione tra Stati Uniti e la Russia? Certamente sì, ma si tratta di punti talmente malfermi che ogni intervento di politici e dei giornalisti, la categoria che nell’evo moderno ha sostituito sia i cortigiani di corte sia i sicari degli imperi, dovrebbe cominciare socraticamente con “l’unica cosa che so è di non sapere niente”. Se tuttavia ci si muove con un poco di logica e come il filosofo cinico Diogene, che viveva in una botte, e con una lanterna accesa in pieno giorno andava a cercare l’uomo nuovo, qualche evidenza si scopre.

Né la Russia né l’Ucraina possono dichiararsi vincitori.

L’Ucraina ha affondato buona parte della flotta nemica del Mar Nero, ha colpito con un drone il Senato russo, dove ha sede l’ufficio dello stesso Vladimir Putin, che ha dovuto bloccare il segnale Gps nel centro di Mosca, ha invaso una parte del territorio dell’invasore, colpendo i nodi della logistica militare del nemico e alcune raffinerie. La Russia ha fallito l’attacco iniziale a Kiev, è avanzata ma senza riuscire a occupare città importanti del sud, ed è a corto di armi non meno di Kiev.

Il niet a Nato e Ue è sensato.

Il dialogo diretto tra Russia e Stati Uniti è necessario e utile per giungere a conclusioni: non era possibile (se non per la stampa laringofaringitica) ammettere al tavolo la Nato e la Ue, perché in quel modo non si sarebbe avviata neanche l’ombra di una discussione.

Errori di Donald Trump.

Come ha scritto Cristofaro Sola su L’Opinione, una parte degli errori presenti e futuri dell’Amministrazione americana ricade anche su Joe Biden & company.
È tuttavia vero che negli incontri di Monaco e in Arabia non è emerso nessun algoritmo made in White House, Nsc, Cia e non si vede nemmeno l’avvio di un programma organico di Donald Trump, che dia forma e ordine ai punti da discutere. Come dice Charles A. Kupchan (senior fellow per l’Europa del Council on Foreign Relations, docente di Relazioni internazionali all’università di Georgetown ed ex senior director del National Security Council) Trump agisce sempre di istinto, e ciò può essere sia positivo, perché lascia aperte tutte le porte, sia negativo, perché non si capisce cosa ci sia al di là delle porte (per ora nulla, e perciò l’orchestra diplomatica e mediatica suona senza spartito). Trump ha messo il carro davanti ai buoi, dato che ha parlato – troppo presto – dell’obbligo per l’Ucraina di dimenticarsi dei confini del 2014 e della fine delle sanzioni contro Mosca. Ciò si è aggiunto ai pessimi insulti nei confronti di Volodymyr Zelensky. Sarebbe stato preferibile dare una comunicazione diversa a Ucraina e Europa, del tipo “aspettate gli sviluppi prima di piangere”. Avrebbe cioè dovuto sminare il terreno in cui si muove, invece di bombardarlo.

Scatole cinesi e il cambio di residenza per l’Europa.

L’invasione dell’Ucraina in realtà nasconde una questione più ampia: la sicurezza militare dell’Europa, cioè l’obbligo di un cambio di residenza per l’Unione europea: da Bruxelles a Lourdes oppure da Bruxelles a Mosca. C’è poi la terza chance che porta da Bruxelles al casello autostradale degli Stati Uniti liberali d’Europa, accogliendo le idee di Mario Draghi sulla deburocratizzazione e lo sviluppo, senza dimenticare una Difesa condivisa ma coordinata con la Nato (pena grossi guai a Chinatown e a Moscatown). L’agenda degli Stati Uniti è più ampia di quella europea, trattando insieme le aree del Sudest asiatico, il Medio Oriente, l’Artico, l’America Latina, l’Africa, l’hi-tech e l’energia. Risolvere questi problemi significa aprire un tavolo di discussione globale, che potrebbe o non potrebbe riguardare il distacco della Russia dalla Cina, perché Pechino nel frattempo sta gestendo pesantemente i mercati e i governi delle vecchie colonie del Sovietistan, toccando interessi diretti russi, oltre a penetrare geopoliticamente l’America Latina e l’Africa.

Ucraina files.

Venendo all’Ucraina, fermo restando l’osceno attacco a uno Stato sovrano, urge un approccio pragmatico e fattivo, all’opposto di quanto han fatto e continuano a fare in Europa i socialdemocratici e una parte dei conservatori. Serve una presa d’atto sulle condizioni poste da Putin, il quale non vuole un semplice cessate il fuoco ma la russificazione dei territori ucraini occupati, anche in forma di settlement. Si noti che:

a) persino l’Italia ha avuto in Cina un settlement nella importantissima città industriale di Tianjin, fino alla Seconda guerra mondiale);

b) la questione del Donbas inesorabilmente rimanderà ai territori “occupati” da Israele, ma ricordo alle culture socialdemocratiche e antidreifusiane che quella parte di territori palestinesi è stata da loro persa (Gaza fu restituita) in seguito a guerre di aggressione (e continue azioni di terrorismo e di guerriglia asimmetrica) da loro condotte contro In guerra, se si perde, si perdono territori, come avvenne per l’Istria italiana. In realtà la Russia, chiedendo nuove elezioni e – de facto – la rimozione di Zelensky, vuole trasformare l’Ucraina in una Bielorussia 2.0. Non lo potrà certo fare prima di una ventina d’anni, visto che gli ucraini hanno subito morte e distruzioni in questi anni come ai tempi della colonizzazione stalinista (ricordo che la colonizzazione includeva anche gli ex Sovietistan, la Siberia, il Caucaso, oltre a metà Europa).

Quali soluzioni sensate possono essere trovate?

Per giungere a risultati concreti, è obbligatorio per Trump compensare Putin con “donazioni” consistenti. Nasce da qui l’allusione alla fine delle sanzioni contro Mosca. Ma quella opzione non basterebbe a placare la fame del figliastro di Iosif Stalin. Il rischio quindi è affogare in un punto morto oppure cedere l’Ucraina alla Russia, cosa indigeribile per gli stessi Usa, oltre che per l’Europa.

Il cul de sac europeo, tra Macron e Garibaldi.

Il presidente francese andrà a Washington nei prossimi giorni, e sarà molto difficile per lui trovare soluzioni al cul-de-sac in cui ci troviamo, anche perché il Governo francese è traballante, quello tedesco sarà rinnovato con un Esecutivo a trazione Cdu. Inoltre, nell’Europa dell’Est, oltre all’Ungheria, vi sono anche altri poli di penetrazione russa, come la Serbia e la Romania. Oggi come settant’anni fa siamo ancora al vecchio grido garibaldino: “Qui si fa l’Europa o si muore”. All’anarco-socialista Giuseppe Garibaldi andò bene, ma perché dietro aveva i Savoia. Oggi spetta all’Europa cercare alleanze dalla parte giusta per diventare una e indivisibile, invece che ventisettina e divisibile com’è ora.

Aggiornato il 24 febbraio 2025 alle ore 10:22