Germania: vince Cdu-Csu, perde Spd, exploit di AfD

L’esito delle elezioni tedesche è di fatto la conferma di quanto già sapevamo in virtù di sondaggi veritieri. Vincono i popolari, perdono i socialisti, ascende, e di molto, la destra radicale. Ora il pallino è in mano a Friedrich Merz, il nuovo futuro cancelliere, al quale spetterà la scelta di individuare il principale partner per formare la Koalition, che difficilmente stavolta sarà “grosse”, almeno per come la si è conosciuta nel recente passato. Tuttavia, al netto delle sfide che attendono il nuovo Governo teutonico – da quella energetica sino a quella commerciale con la necessità di far ripartire l’export – è evidente come i nuovi assetti istituzionali di Berlino dipenderanno, in parte, dalle coordinate politiche dei singoli partiti, ovvero dalla loro reale collocazione nella scacchiera valoriale e identitaria caratterizzante lo scenario politico tedesco. Parlo di come definire meglio talune terminologie che dovrebbero delineare il profilo delle forze in campo. Tipo: AfD è il partito dell’ultradestra, d’accordo.

Ma quale significato è opportuno dare al concetto di radicalità? Certo, parlando della Germania e conoscendo il vissuto di questo Paese, l’espressione “destra estrema” non può che generare qualche brivido storico. Ciononostante, nel caso attuale, l’estremismo è ben mescolato tra una posizione obiettivamente dura nei confronti dei flussi migratori (ma nulla che possa minimamente far pensare a deportazioni o cose simili, sia chiaro) e una vocazione economica prossima a quella di un liberismo tout-court, distinto dall’economia sociale di mercato, da sempre stella cometa delle politiche commerciali in Germania. Quindi una modulazione di maggiore o minore presenza dello Stato a seconda degli ambiti d’interesse. A questo aggiungo, per quanto possa apparire un argomento futile, quasi prossimo al gossip, che la leader di AfD ha rivendicato di essere gay e questo, va da sé, confligge con l’incasellamento del partito all’interno di una cornice neonazista. Ripeto, non tanto l’identità di genere, bensì la rivendicazione che di quest’ultima ha fatto Alice Weidel è l’elemento che marca una differenza sostanziale.

Poi abbiamo i cristiano-democratici, alias Cdu-Csu, i quali devono decidere se continuare sulla stessa linea politica prettamente centrista avviata da Angela Merkel, oppure riposizionarsi su una vocazione dalle forti venature conservatrici che aiuterebbe a scolpire in maniera più netta alcuni tratti qualificanti del nuovo popolarismo tedesco. Infine, i socialdemocratici. In questo caso parliamo di una crisi di sistema – oltre che di valori – che sta permeando gran parte del mondo progressista, nelle sue varie sfumature, almeno nell’intero Occidente, dagli Usa alla Germania, passando per la Francia di Emmanuel Macron fino all’Inghilterra di Keir Starmer. Ergo, non troverei totalmente fuori luogo un’alleanza tra Cdu-Csu e AfD. Del resto, non pochi sono i punti programmatici su cui le due forze potrebbero convergere, fermo restando che Merz, alleato o no, dovrà contaminare la propria azione di Governo con la richiesta esplicita di più politiche di “destra” proveniente dall’elettorato. Inoltre, un eventuale accordo governativo eviterebbe derive ancor più estreme e ben poco auspicabili dell’ultradestra, togliendo così a quest’ultima qualunque tipo di alibi e rendendo sempre più fluida una maggiore maturità istituzionale di Weidel e dei suoi militanti.

Aggiornato il 24 febbraio 2025 alle ore 10:11