A tre anni dall’invasione, intervista a Vladislav Maistruk

Giornalista quarantenne, un passato di studi in Toscana, parla correntemente quattro lingue, Vladislav Maistruk vive a Kiev ed è produttore del bureau ucraino di Current Time, il canale internazionale tv in lingua russa finalizzato al contrasto della disinformazione russa nel mondo.

Vladislav, che significa vivere a Kiev oggi?

Amare oltre la paura. Io amo Kyiv, anche quando durante l’afa estiva non puoi accendere l’aria condizionata per via dei blackout. Vivere qui porta a rivedere molti dei tuoi sguardi. Per esempio, da quando una collega ha chiamato il chiasso dei generatori elettrici che sbuffano smog “rombo della resistenza”, ho iniziato ad apprezzare anche quel rumore.

Tra poco saranno tre anni dall’inizio dell’invasione russa: cosa ricordi di quel giorno?

Sono stato svegliato dalle esplosioni. Ho preso il telefono per vedere cosa stesse succedendo, perché nonostante tutto stenti a crederci, e lessi guerra… sono tornato a letto ed ho abbracciato forte colei che poi è diventata mia moglie. Alla fine, anche la mia compagna è stata svegliata dall’attacco aereo. Mentre combatteva ancora col sonno cercai di dirle che non era niente, che andava tutto bene, ma il mio cuore batteva così forte che lei capì da sola. Siamo stati abbracciati per qualche minuto e poi abbiamo iniziato a lavorare come dei forsennati, fino alla mattina seguente, schivando col pensiero ogni esplosione che sentivamo provenire dalle finestre. Non siamo scesi nel rifugio, né allora né i giorni a seguire, perché per due produttori televisivi rimanere senza internet è come per un soldato non avere munizioni. Nonostante la paura fosse tanta, l’orgoglio era più forte, ed abbiamo deciso: siccome i soldati non scappano dalle trincee durante gli attacchi russi, allora anche noi faremo la nostra parte senza riserve. Il momento più doloroso, quel giorno, è stata la telefonata alla madre di mio figlio, perché decidemmo che loro sarebbero andati in Italia dai miei genitori. Capivo che forse non avrei più visto mio figlio. Ma non mi sentivo rassegnato, anzi, ero incazzato nero.

Dal tuo punto di vista, quale futuro aspetta il tuo Paese?

È difficile fare previsioni, ma sono sicuro che questa generazione di ucraini che combatte, soprattutto i nostri soldati, sarà motivo di orgoglio ed ispirazione per le generazioni future di ucraini e non solo. Nonostante tutto, guardo al futuro con speranza. Ma voglio chiarire cosa intendo citando la mia connazionale, il premio Nobel per la pace Oleksandra Matviichuk: “La speranza non è la certezza che tutto andrà bene, ma la profonda convinzione che tutti i nostri sforzi hanno un senso”. Vorrei che anche in Occidente la speranza prendesse il sopravvento sulla paura.

Quanto ti senti legato anche all’Italia?

Io provo per l’Italia quello che si può provare per una nonna che per tanti anni è stata come una seconda madre. Ecco perché non darò pace ai propagandisti filorussi e pupazzi prezzolati di ogni genere, che seminano vento in un paese che amo. Spero di poterci tornare un giorno, ho tanti amici fraterni che mi aspettano per pranzi e cene, il che è uno stimolo in più per sopravvivere agli eventi.

Aggiornato il 20 febbraio 2025 alle ore 13:52