Il dittatore tunisino nel mirino degli Usa

Kaïs Saïed è diventato presidente della Tunisia a ottobre 2019 con una votazione manipolata e contestata. Dall’estate 2021, data dell’assunzione dei pieni poteri frutto di un colpo di Stato, ha imposto una serie di modifiche costituzionali totalmente liberticide. Un personaggio che non manca di sollevare critiche a livello internazionale, ma con il quale chiunque tratta a causa della posizione strategica del Paese, soprattutto nell’ambito della questione migratoria. Saïed in questi ultimi giorni ha dato ulteriore dimostrazione di quanto sia pesante la mano della “sua legge” nel reprimere ogni forma di opposizione o sospetta dissonanza con la sua politica.

Infatti, ha confermato l’arresto del leader del partito islamista conservatore Ennahda, Rachid Ghannouchi, e altre personalità politiche e non, accusati di aver messo in pericolo la sicurezza dello Stato, una formubla molto in voga in questi ambiti socio-politici, vedi Iran. Condanne, che per la loro pesantezza fanno ricordare, e a volte rimpiangere, quelle forse più leggere in voga durante la dittatura di Zine El-Abidine Ben Ali, deposto nel 2011 durante la “primavera araba”, che di “stagione gentile” non ha avuto nulla. Così la prima settima di febbraio, la Seconda camera penale del Tribunale di primo grado di Tunisi, ha emesso il suo verdetto in uno dei tre casi Instalingo, e ha condannato l’ultra-ottantenne Ghannouchi a 22 anni di reclusione, praticamente all’ergastolo. La vicenda Instalingo ricade in un complesso sistema cospiratorio nel quale sono stati implicati politici, influencer, giornalisti e alti funzionari del Ministero dell’Interno, compresi uomini della sicurezza.

Ghannouchi, ex presidente del Parlamento, per aver definito “tiranni” alcuni ufficiali di polizia con i quali aveva avuto a che fare, era già stato condannato, nel maggio 2023, a un anno di carcere più altri tre per operazioni finanziarie illecite fatte all’estero. La spada della “legge Saïed” ha colpito anche i familiari di Ghannouchi, la figlia, Soumaya, condannata a 25 anni ed il genero Rafik Abdessalem a 34 anni, che comunque sono riusciti a scappare all’estero, probabilmente in Turchia, quindi condannati in contumacia. In totale sono state condannate oltre 40 persone, come il giornalista Chadha Hadj Mbarek, cinque anni, in carcere da luglio 2023; Hichem Mechichi, ex capo del governo, condannato a 35 anni, sollevato dal ruolo il 25 luglio 2021, in seguito al colpo di Stato di Saïed, anche lui fuggito, quindi in contumacia. Altre pene da sette a 15 anni, sono state comminate anche ad alcuni agenti dei servizi di sicurezza.

Un sistema, quello di Saïed, che in questi giorni è stato preso di mira in modo deciso anche dagli Stati Uniti. Così Joe Wilson, rappresentante della Carolina del Sud al Congresso degli Stati Uniti, e acceso sostenitore del presidente Donald Trump, ha definito il capo di stato tunisino un “dittatore”. Queste affermazioni pubblicate sul social network X, hanno reso il parlamentare repubblicano americano di grande notorietà nel Paese nordafricano. Le sue aggressive critiche hanno sollevato commenti nell’ambito mediatico e politico, anche perché provenienti dalla nuova amministrazione statunitense. Joe Wilson ha sottolineato che i pieni poteri assunti con il colpo di Stato da Saïed nel 2021 hanno portato il Paese a subire una deriva autoritaria. Wilson, in breve, ha dichiarato che gli aiuti degli Stati Uniti dovrebbero essere tagliati e le sanzioni dovrebbero essere imposte, finché la democrazia non sarà ristabilita in Tunisia. Un’affermazione che suggella una realtà, quella tunisina, ormai assorbita come dato di fatto, ma che denota un pericoloso percorso politico, che qualsiasi sviluppo potrà avere lascerà a lungo strascichi.

Si è poi aggiunta una “querelle messaggistica” tra Wilson e la parlamentare tunisina Fatma Mseddi, sostenitrice convinta del presidente Saïed, che su Facebook ha postato un testo in arabo e in inglese indirizzato a Wilson chiedendogli di chiedere scusa perché il suo presidente non deve essere minacciato. Wilson ha risposto con una lettera, esordendo con: “cara Fatma”, e esplicitando che non chiederà mai scusa per aver preso le difese della democrazia. Sollecitando Fatma a lasciare il regime di Saïed prima possibile, in quanto crollerà come quello siriano di Bashar al-Assad. Un auspicio o un avvertimento? Tuttora, sui social network e nelle radio, Joe Wilson viene continuamente citato, provocando indignazione, ma anche divertimento e stupore. Insomma se non fosse un regime oppressivo la “questione” Wilson-Mseddi sarebbe più simile ad una caricatura che ad uno scambio di opinioni/accuse tra due politici.

Tuttavia ritengo che il colpo più pesante lo abbia inferto l’americano auspicandosi il taglio dei fondi destinati alla Tunisia e l’applicazione delle sanzioni. Possiamo definire il Paese come post-rivoluzionario (2011), virtualmente in bancarotta, con il suo bilancio e la sua tesoreria praticamente inesistenti, oltre alla nota economia parallela e corroborata dal contrabbando che ha finito per asfissiare il commercio legale, cioè l’attività formale. La Tunisia è da tempo considerato uno Stato in fallimento, un Paese indebitato che in pratica non può essere politicamente sovrano, in quanto ha necessità continua di aiuti, di crediti, di fondi esteri e di generosi pseudo amici. E uno Stato con queste caratteristiche è più un “non-Stato”, tra l’altro con forte carenza democratica. E questo Wilson lo ha detto chiaramente.

Aggiornato il 19 febbraio 2025 alle ore 10:21