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Hamas ha fretta e vuole iniziare la fase due. Forse la mancanza di leadership, forse lo spavento della crisi di settimana scorsa, tant’è che i terroristi sarebbero pronti a rilasciare tutti gli ostaggi rimasti in un unico scambio, senza trascinare il rilascio per settimane come accaduto finora. A rivelarlo è Taher al-Nunu, alto funzionario del gruppo islamista, in un’intervista all’Afp. “Abbiamo informato i mediatori che Hamas è pronto a rilasciare tutti gli ostaggi in un’unica soluzione durante la seconda fase dell’accordo”, ha dichiarato al-Nunu. Ma il nodo resta sempre lo stesso: quanti ostaggi sono ancora vivi?
Da parte sua, l’ufficio del premier Benjamin Netanyahu attribuisce il rilascio degli ostaggi alla linea dura di Israele. “Solo grazie alla posizione inflessibile del primo ministro e alla pressione dell’esercito, Hamas ha fatto marcia indietro”, recita una nota ufficiale. Nel comunicato si sottolinea anche il ruolo chiave del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che avrebbe esercitato pressioni decisive sul gruppo palestinese. Intanto, nelle prossime ore, Israele si prepara a ricevere i corpi di quattro ostaggi deceduti. Secondo Hamas, si tratta di Shiri Bibas e dei suoi due bambini, insieme a Oded Lifshitz, 86 anni, storico attivista pacifista che per anni ha lavorato per il dialogo tra israeliani e palestinesi. Un paradosso crudele per chi ha passato la vita a costruire ponti. “Siamo in un momento delicatissimo. Il nostro Paese sta vivendo un’altalena emotiva devastante”, ha dichiarato Isaac Herzog, presidente israeliano, nel suo incontro al Quirinale con Sergio Mattarella.
TRUMP, ENTRO FEBBRAIO L’INCONTRO CON PUTIN
Dall’altra parte del mondo, intanto, il presidente Usa si avvicina sempre di più a un faccia a faccia con Vladimir Putin. Donald Trump ora è sicuro entro la fine di febbraio incontrerà il capo del Cremlino. L’obiettivo? Mettere fine alla guerra in Ucraina. Il tycoon ha rivelato che i negoziati segreti tra Usa e Russia a Riad sono andati “molto bene”, lasciando intendere che qualcosa di grosso bolle in pentola. “Sono più fiducioso di prima”, ha dichiarato Trump dalla sua residenza di Mar-a-Lago, spiegando che il suo segretario di Stato, Marco Rubio, e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, hanno tracciato una nuova rotta per i rapporti tra Washington e Mosca. Un riavvicinamento che non riguarda solo l’Ucraina, ma gli equilibri di potere globali.
Ma a Kiev non l’hanno presa bene. Volodymyr Zelensky non ha digerito l’esclusione dell’Ucraina dal primo incontro precedente ai negoziati, tanto da aver protestato pubblicamente durante un incontro con Recep Tayyip Erdoğan ad Ankara. Il leader ucraino ha chiesto “colloqui equi” che coinvolgano anche l’Unione europea, Regno Unito e Turchia. Nel frattempo, per evitare coincidenze sospette, ha rinviato la sua visita a Riad al 10 marzo. E qui arriva il colpo di scena. Trump ha risposto alle critiche di Zelensky con una frase destinata a far discutere: “Ho sentito che sono arrabbiati perché non hanno un posto al tavolo dei negoziati. Ce lo hanno avuto per tre anni… Allora non avrebbero dovuto iniziare la guerra”.
Si tratta di una provocazione o di un errore di distrazione? Al momento, si può concedere a The Donald il beneficio del dubbio. Chissà, forse chiederà scudo come il più classico dei Luca Giurato. Il tycoon ha comunque ribadito di avere un piano per chiudere il conflitto e si è detto favorevole all’invio di una missione di pace europea in Ucraina dopo un eventuale accordo. Ma ha escluso qualsiasi coinvolgimento sul campo degli Stati Uniti: “Se i Paesi europei vogliono farlo, è fantastico. Sono assolutamente d’accordo. Ma gli Usa non parteciperanno, perché siamo molto lontani”.
Aggiornato il 19 febbraio 2025 alle ore 16:01