
Riepilogo: il Donald Trump transazionale è l’esatto opposto del Joe Biden transnazionale della fine del secolo americano. Una “n” di meno che cambia tutto nella geopolitica attuale! Eppure, sono sempre in molti, anche troppi, coloro che temono un futuro autocratico per l’America. Alla prova dei fatti, Trump non è portatore di nessuno spirito totalitario, essendo solo dotato della grande furbizia di chi sa trattare anche con il diavolo e, in qualche caso, metterlo nel sacco. Semmai, dobbiamo fare molta attenzione al mercante che è in lui, e non al plutocrate che fa solo comodo all’arida strategia dell’anti-qualcosa della sinistra italiana e del wokism democrat. Sono costoro i veri perdenti nella scommessa planetaria per una pace senza costi, né sacrifici, convinti che i ceppi del politically correct sarebbero stati sufficienti a tenere a bada gli animal istinct delle guerre commerciali e del neoimperialismo di America, Russia e Cina.
Cosicché, oggi, l’Europa ultra-woke di Bruxelles si trova a giocare lo scomodo ruolo del Re nudo, privo della forza e della coesione necessaria per sedersi da pari a pari al tavolo delle grandi potenze. Il problema dei pacifisti senza se e senza ma, che rifiutano il concetto stesso di forza, è di essersi illusi e aver illuso i loro seguaci che fosse finito il tempo delle armi, per cui contavano solo i discorsi da anime belle su dirittismo, multiculturalismo, multilateralismo (ovvero, il condominio mondiale Onu per prendere le grandi decisioni), frontiere aperte e relativismo multietnico.
Ed è così che oggi noi europei ci troviamo a (non) trattare con la pistola sul tavolo di Trump, Vladimir Putin, Xi Jinping e Narendra Modi, mentre noi, metaforicamente, abbiamo solo quella ad acqua per detergere loro le mani, dopo che costoro avranno fatto il lavoro sporco! Nella nuova guerra tiepida che si va profilando, alcuni saggi si interrogano se l’Europa faccia la parte di preda nella spartizione tra grandi potenze, o sia anche lei nel team dei “cuochi” che preparano il menu planetario di domani. Se avessimo osservato la storia sulla scala dei millenni, ci saremmo accorti che tutto è onda, come i cicli di guerra e pace. Noi siamo a cavalluccio tra due creste (“su” è pace; “giù” è guerra), per ora seduti sull’asse delle ascisse come in un limbo. Basterà un’oscillazione quantica per portarci su o giù nella sinusoide del mondo. E a nulla serve il predittismo delle categorie politico-ideologiche dei due secoli passati. Anche perché l’Europa si trova di fronte all’eclettismo di Trump ed Elon Musk, che ha aperto un inedito processo di creatività nella decostruzione permanente.
Di fatto, l’unione tra il grande immobiliarista newyorkese e il genio supertecnocrate della Silicon Valley sta producendo la più grande opera di demolizione interna ed esterna che gli Stati Uniti abbiano mai conosciuto. Questo perché il duo imprevedibile ha bell’e dichiarato al resto del mondo la verità più scomoda da ascoltare, per tutti coloro che puntavano da incoscienti sulla presunta rendita perenne e pacifista della fine della storia. Ovvero, che il vecchio mondo del diritto e delle istituzioni internazionali multilaterali è ormai un inservibile ferro vecchio, e che ben altri strumenti debbono essere forgiati nella nuova cassetta degli attrezzi, per la conduzione geopolitica delle relazioni internazionali. Soprattutto, che gli aiuti allo sviluppo a spese del contribuente americano non sono più né gratuiti, né scontati, visto che centinaia di milioni di migranti e intere popolazioni disperate e affamate sono il prodotto dei loro regimi interni post-coloniali, predatori, violenti e criminali. Oggi, come si risponde qui in Europa a coloro che parlano di mondi separati, come America first, o ai neo-imperialisti della Russia alla conquista di territori perduti, o della Cina che punta alla supremazia commerciale e militare sul resto del mondo?
Ora, tutto fa pensare che abbia ragione Trump a costruire la nuova cassetta degli attrezzi su base transazionale, per cui il nuovo gioco prevede sia il braccio di ferro sui dazi, da concludere preferibilmente con un pari-e-patta; sia la deregulation per l’Ia e i vincoli green, destinata ad alleggerire e rendere molto più competitive le industrie energivore americane, rispetto a quelle europee, terribilmente rallentate dalla regolamentazione castrante di Bruxelles e dalla mancanza di una finanza comune. Ed è vero che dall’alleanza occidentale sui valori si è passati alla disunione provocata dalla prevalenza degli interessi, che necessitano proprio dei nuovi strumenti transazionali. Sorprendentemente, l’Ucraina è stata più rapida della Russia ad adeguarvisi, proponendo all’America un accesso privilegiato ai propri, notevoli giacimenti di terre rare, in cambio dell’appoggio di Trump alle trattative di pace con Vladimir Putin.
Invece l’Ue deve vedersela con la conduzione della “erbivora” Ursula von der Leyen, priva dei nuovi, cinici strumenti transazionali. Così, prima del suo insediamento, commettendo un imperdonabile passo falso, la presidente della Commissione ha preliminarmente proposto a Trump l’aumento degli acquisti europei di gas liquefatto americano. Il che significa metaforicamente nutrire il coccodrillo nel timore di esserne ingoiati, ma senza poterlo evitare in futuro. Bisogna, invece, capire alla svelta che Trump negozia come faceva l’Urss in passato: “Quel che è mio resta mio; e quel che è tuo è negoziabile”. Un mondo relazionale, quest’ultimo, che non ammette concessioni in anticipo, e che necessita di risposte concrete quando si tratta di capire con quali risorse internazionali ricostruire sia l’Ucraina che Gaza. Fine, quindi, di follie ideologiche come “l’esportazione della democrazia”. Sicché, l’Europa si trova di fronte a un doppio dilemma, di cui il primo è scegliere con chi stare. Ovvero, privilegiare la transizione geopolitica, rafforzando l’integrazione economica e finanziaria con l’America; oppure mantenere la barra dritta sulla transizione energetica, spostando il baricentro verso l’interdipendenza tecnologica con la Cina.
Il secondo è scegliere tra una politica potenza, o privilegiare la supremazia del diritto internazionale e con quale forza e autorità farlo rispettare. Il Rubicone è qui: a noi decidere se passarlo.
Aggiornato il 19 febbraio 2025 alle ore 09:52