![Ucraina: l’Europa cerca la sua voce](/media/8310539/vittorio.jpg?crop=0,0.053973013493253369,0.13001768180278936,0.20962832228970182&cropmode=percentage&width=370&height=272&rnd=133844329160000000)
L’assemblea di Parigi non ha risolto niente. Dopo quattro ore di dibattito, il nodo sul ruolo europeo nei negoziati di pace tra Stati Uniti, Ucraina e Russia resta ancorata sciogliere. Ieri pomeriggio, alcuni leader europei hanno discusso strategie e scenari sull’Ucraina, mentre dall’altra parte dell’oceano il presidente americano Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin continuano a tessere – a distanza – la loro tela diplomatica. Nonostante le parole del tycoon e del vicepremier Antonio Tajani, sia Bruxelles che Kiev hanno paura dell’intraprendenza a stelle e strisce e si sentono esclusi. Secondo la premier Giorgia Meloni andavano sentiti, effettivamente, tutti quei Paesi che con la Russia condividono centinaia di chilometri di confine e più sono esposti, un concetto sottolineato dalla premier al tavolo, “al rischio di estensione del conflitto”. Finlandia e Paesi baltici in primis. Inoltre, dopo le rassicurazioni di Washington e della Farnesina sembrerebbe quasi infantile parlare di un “formato anti-Trump”, anzi: gli Usa lavorano per “giungere a una pace e noi – ha chiarito la premier – dobbiamo fare la nostra parte”. Con poche parole, la premier ha riassunto un concetto sacrosanto, ovvero che “è nel contesto euro-atlantico che si fonda la sicurezza europea e americana”. Basta pensare cosa possano fare gli americani per noi, ma cosa “possiamo fare per noi stessi”.
E tra i punti più caldi dell’incontro di Parigi, la possibilità di inviare un contingente europeo come segnale di deterrenza verso Mosca. Un’idea invisa soprattutto al cancelliere tedesco Olaf Scholz, che ha già tirato il freno a mano. “Prematuro e inappropriato parlarne ora”, ha tagliato corto il leader tedesco prima di lasciare Parigi. Effettivamente, sarebbe meglio parlarne dopo le elezioni in Germania. Ma intanto, stando a quanto riporta il Washington Post, le cancellerie europee starebbero preparando un piano per mettere sul tavolo una forza d’interposizione tra i 25mila e i 30mila uomini, non schierata in prima linea ma pronta a intervenire se la Russia provasse a riaccendere il conflitto.
Se il progetto dovesse concretizzarsi, servirà però una mano dagli Stati Uniti. E non una qualsiasi. Secondo fonti citate dal Wp, gli europei avrebbero chiesto a Washington di fornire intelligence, sorveglianza, copertura aerea e, soprattutto, una chiara presa di posizione nei confronti di Mosca. Un segnale forte, in grado di far capire al Cremlino che un attacco contro le forze europee sarebbe un passo falso gravissimo. A preoccupare gli esecutivi del Continente è anche la questione delle regole d’ingaggio: cosa succederebbe se la Russia decidesse di colpire la forza d’interposizione? Alcuni Stati membri dell’Unione europea spingono per un meccanismo di mutua difesa tra i Paesi partecipanti, ma sempre al di fuori dell’ombrello Nato. Un equilibrio delicato, che rischia di trasformarsi in un campo minato diplomatico. Anche su questo, Scholz ha messo i paletti: “Discuterne adesso non ha alcun senso”.
E se l’Europa – pur non interpellando Nazioni chiave come la Finlandia e i Paesi baltici, che la minaccia russa la possono toccare con mano – cerca di prevedere le mosse delle due superpotenze, Volodymyr Zelensky ha alzato la mano per dire la sua. Intervistato dalla tivù tedesca ARD, il presidente ucraino ha puntato il dito contro il tycoon americano, accusandolo di voler “compiacere” Vladimir Putin. “Il problema è che gli Stati Uniti oggi stanno dicendo cose che fanno molto comodo a Putin. E questo è pericoloso”, ha dichiarato con un cambio di direzione repentino. Sempre Olaf Scholz, lasciando il vertice parigino, ha ribadito che Kiev non deve subire pressioni per accettare compromessi al ribasso. “L’Ucraina non può essere costretta a prendere per buono tutto ciò che le viene imposto. Può contare su di noi: continueremo a sostenerla”, ha garantito il cancelliere.
WASHINGTON: A RIAD NIENTE NEGOZIATO
Intanto, la diplomazia americana si muove su più fronti. Domani, a Riad, è previsto un incontro tra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il segretario di Stato americano Marco Rubio. Un segnale di dialogo? Non proprio, almeno stando alle dichiarazioni di Tammy Bruce, portavoce del dipartimento di Stato. “La gente non deve vedere questo incontro come un negoziato sull’Ucraina”, ha precisato Bruce, spiegando che il colloquio servirà semplicemente a “dare seguito in modo efficace” alla telefonata tra Trump e Putin della scorsa settimana. In altre parole, niente di risolutivo, almeno per ora.
Aggiornato il 19 febbraio 2025 alle ore 10:01