
Le parole di Donald Trump hanno fatto eco. Tra gli abitanti della Groenlandia si è cominciata a paventare l’ipotesi referendum sull’indipendenza dalla Danimarca, dopo la visita del figlio maggiore del tycoon e il botta e risposta con il Regno danese che n’è scaturito. Ieri sera, Erik Jensen, leader del partito socialdemocratico al governo, Siumut, ha annunciato che in caso di rielezione alle elezioni anticipate dell’11 marzo, accelererà il processo indipendentista. La strategia prevede l’attivazione dell’articolo 21 della legge sull’autogoverno, che consente di negoziare le future relazioni con la Danimarca e, soprattutto, di indire un referendum. Jensen ha riconosciuto che le parole di Trump sull’annessione della Groenlandia hanno, seppur indirettamente, contribuito a questa accelerazione politica.
La decisione di anticipare il voto è stata presa nei giorni scorsi dal Parlamento groenlandese, in un contesto di crescente tensione legata all’interesse statunitense per la regione. La portavoce politica di Siumut, Doris Jakobsen Jensen, ha criticato la premier danese Mette Frederiksen per la sua gestione della crisi, accusandola di agire unilateralmente in Europa senza consultare il governo locale. Resta però aperto il nodo delle conseguenze economiche di una rottura con Copenaghen: l’attuale accordo garantisce alla Groenlandia una sovvenzione annua di 580 milioni di euro da parte della Danimarca, una cifra che rappresenta una quota significativa del bilancio dell’isola.
Insomma, dopo aver spaventato con i dazi Canada e Messico, i due Paesi sono andati incontro al nuovo presidente degli Stati Uniti, dopo aver inviato Marco Rubio a Panama – che ha scatenato un dibattito sulle ingerenze straniere – il piccolo Paese ha annullato l’accordo con la Cina per la via della seta, e ora la Groenlandia pensa a un referendum per uscire dal Regno di Danimarca. I metodi di Trump saranno quantomeno poco ortodossi, ma sembrano funzionare.
Aggiornato il 07 febbraio 2025 alle ore 13:51