Dio salvi l’Ucraina preda dello zar

La diplomazia social porterà la pace in Ucraina? Intanto, Donald Trump ci prova, pubblicando un messaggio ecumenico-ricattatorio sul suo social Truth, che innova la precedente politica del tweet stile primo mandato. Qual è l’avviso ai due litiganti inviato di recente dal neo presidente? La citazione letterale suona così: “Intendo fare un grande favore (tutto maiuscole nel testo originale) alla Russia, la cui economia è in stato di completa rovina, e allo stesso presidente Vladimir Putin. Si regoli subito la questione e si metta fine a questa guerra ridicola, perché non potrà che andare peggio!”. Messaggio poi accompagnato da tutta una serie di rassicurazioni da dare al presidente russo, senza “tener in alcun conto le calunnie nei suoi confronti, messe in giro dalla sinistra radicale”. Stima incondizionata alla Russia, quindi, che “è stata decisiva nella vittoria alleata su Adolf Hitler, sacrificando 60 milioni di perdite umane”. Esagerazione storica evidente, questa di Trump, dato che i caduti sovietici, civili e militari, per la liberazione dell’Europa, non supererebbero i 27 milioni, secondo stime recenti e accurate. E se Putin non ci sta a trattare, visto che da lui non è venuta alcuna proposta di soluzione concreta, beh, allora c’è la minaccia preventiva da parte di Trump di inasprire le sanzioni internazionali alla Russia. Atto simbolico quest’ultimo, che non fa mai male per quel che vale, visto che missili e droni russi sono costruiti con componenti più o meno sofisticate, di fabbricazione cinese, occidentale e autoctona, così come attentamente schedato e recensito dall’apposito ufficio ucraino, che esamina i rottami dei proiettili recuperati sul proprio territorio.

Del resto, Trump intende giocare allo spaventapasseri (con dispositivo esplosivo incorporato), posizionato al centro del campo di grano, per evitare che il suo raccolto politico sullo scenario internazionale sia scarso o insufficiente. Anche perché Putin ha già dichiarato che vuole “una pace a lungo termine, fondata sul rispetto degli interessi legittimi di tutti i popoli che vivono nella regione”. Letto in filigrana, significa che secondo Putin la maggioranza russofona del Donbass ha diritto alla sua indipendenza dall’Ucraina, e di scegliere liberamente di federarsi con Mosca. Invece, al contrario, l’Ucraina non ha l’interesse legittimo né di entrare a far parte dell’Ue, né tantomeno della Nato, e si vedrà in futuro se dovrà avere un proprio esercito e confini internazionalmente riconosciuti. Ovviamente, ognuno dei grandi leder mondiali ha il proprio “uomo all’Avana” (come si diceva una volta) e Trump, restìo a indossare la corona di spine per Kiev, ha scelto per quel ruolo un vecchio generale ottantenne in pensione, Keith Kellogg (già Consigliere di Mike Pence), ex combattente in Vietnam. A lui il presidente ha affidato il “dossier Ucraina”, con l’incarico di individuare una soluzione negoziata entro i cento giorni fatidici dall’inizio della sua presidenza, vista l’impossibilità di farlo in 24 ore, così come lo stesso Trump aveva promesso in campagna elettorale. In precedenza Kellogg non aveva risparmiato critiche feroci all’Amministrazione Biden, rea di non aver contrastato a sufficienza la mossa di Putin a febbraio 2022, favorita a suo giudizio dal disastroso ritiro dall’Afghanistan e dalla reticenza di Joe Biden ad armare tempestivamente l’Ucraina.

Verosimilmente, Kellogg suggerirà a Trump l’unica strada percorribile, ovvero un’intesa per il cessate il fuoco (mediato da Svizzera e Slovacchia), che congeli la situazione sul campo e renda possibile lo scambio limitato di territori. In cambio di precise garanzie russe sulla sicurezza dell’Ucraina, l’accordo sarebbe di lunga durata, rinviando a un lontano futuro l’adesione di Kiev alla Nato. Ma non sarà facile trovare un compromesso, data la posizione intransigente di Mosca che non intende fornire alcuna garanzia per scongiurare la ripresa del conflitto, mentre reclama una capitolazione di Kiev, o quantomeno, nuove elezioni presidenziali, nella speranza di liberarsi definitivamente di Volodymyr Zelensky, con il quale Putin non vuole trattare. Morale della favola: a sentire Mosca, l’Ucraina dovrebbe cedere un quarto del suo territorio accontentandosi della fine delle ostilità, cosa che consentirebbe a Putin di perseverare nella sua opera di destabilizzazione, tenendo sotto pressione il Governo di Kiev. Guarda caso, il vice di Trump, J. D. Vance, ha ventilato in campagna elettorale esattamente la stessa cosa, anche se esponenti di peso del Partito repubblicano la pensano molto diversamente. Per i repubblicani moderati, infatti, l’Ucraina rappresenta un’enorme posta in gioco nella geopolitica attuale e, pertanto, abbandonarla al proprio destino significherebbe una sconfitta considerevole per gli Stati Uniti, favorendo le mire espansionistiche di Mosca e Pechino. Putin, infatti, non si fermerebbe, mentre la resa incondizionata di Kiev significherebbe la delegittimazione dell’America e del suo potere di dissuasione.

Volodymyr Zelensky, dal canto suo, non sembra favorire l’appeasement di Trump verso Putin, dato che ha recentemente chiesto come contropartita per il cessate il fuoco una forza di interposizione occidentale, ai confini con la Russia, di 200mila uomini. Ma non ha chiarito con quali risorse (di certo, non a spese del welfare, per noi europei) e per quanto tempo un’intera armata dovrebbe stazionare in una zona cuscinetto ad alto rischio, visto che un incidente grave potrebbe portare a un conflitto generalizzato con la Russia, per la presenza di contingenti militari delle varie nazioni europee e americani. La cifra di 200mila deriva da un ragionamento a spanne, fatto dai responsabili politico-militari ucraini, che tirano in ballo una “soluzione alla coreana”, in base alla quale gli americani avevano mantenuto in Corea ben 30mila soldati per sorvegliare una linea di 250 chilometri di fronte. Quindi, per un terra di nessuno lunga tre volte tanto ne occorrerebbero almeno 150mila di quei soldati, che di certo non agirebbero in base a un protocollo restrittivo Onu (si veda il Libano, dove tutti sparano contro le forze di interposizione, ma queste ultime non possono farlo per garantire il rispetto dei confini), potendo ingaggiare duelli di artiglieria in caso di aggressione. Per ora, l’Europa è disponibile a mettere in campo al massimo 50mila peacekeeper, reclutati al di fuori delle forze Nato. Putin, pertanto, può dormire sonni tranquilli.

Aggiornato il 30 gennaio 2025 alle ore 10:15