Devo confessare che ho provato un sottile sadico piacere a leggere il livore nel malmostoso articolo (uno fra tanti), di un paio di giorni fa, contro Donald Trump, sul Corriere della Sera: in sintesi, sembra di capire, il tycoon sarà pure presidente ma quello che vuol fare piace ad assai pochi ed è meglio che ci si prepari a catastrofi inenarrabili. L'autore ci avverte che, “ora che il genio ribelle è uscito dalla lampada, sarà difficile rimettercelo dentro”. Ne è uscito, preme ricordarlo, perché ha, democraticamente, vinto le elezioni, in tutti gli Stati dell’Unione, nonostante ripetuti e falliti tentativi per abbatterlo giudizialmente, mediaticamente e anche fisicamente. Per questo suona infantilmente autoconsolatorio quando l'articolo prova a venderci che: “la sua elezione sta avendo effetti divisivi e precari sui fragili equilibri” in America e nel mondo. Come quando evoca l'immagine di “cittadini, non in regola, ammanettati e spinti a salire su un cargo militare”. Ovviamente, se fossero davvero “cittadini”, come li descrive l'autore, non sarebbero né in catene, né imbarcati a spinta, verso l’espulsione. Perché l'immigrazione irregolare in Usa è da sempre un reato e, i cittadini (quelli veri), giustamente preoccupati del degrado delle metropoli, gli hanno chiesto, con il voto, di far rispettare la legge. Sarebbe reato anche da noi, ma, come abbiamo imparato, per i giudici progressisti, la legge è qualcosa che si applica ai nemici (politici) ma si interpreta per i migranti illegali. Il menù delle piaghe bibliche, che ci attendono inesorabili, continua con la pietà negata a "bambini gay e bambine lesbiche (sic)” e all'iniqua pretesa che esistano “solo due generi: maschio e femmina”, con il solito refrain dell’Armageddon che incombe per l’uscita dal Trattato di Parigi e dall’Oms.
Ma l'apogeo si raggiunge con il presagio del venir meno dei diritti e dei doveri “che determinano il perimetro delle libertà nell'interesse prevalente del bene di una comunità e dei valori che la innervano”. Parole infervorate come quelle di un discorso di apertura del Comintern: l'audience progressista del quotidiano deve essere andata in visibilio. Ce ne è per tutti e contro tutti (esponenti di destra ovviamente): Elon Musk, Viktor Orbán, l'ultra liberista Javier Milei, la nostra premier, asseritamente definita da Trump (secondo improbabile traduzione) “la feroce dama italiana”. Alla quale, almeno, Trump riconoscerebbe, rispetto ad altri europartner destinatari di dazi, aperture di credito “per affinità elettive”. Persino le prospettive di “fermare unilateralmente” (magari intendeva almeno bilateralmente) i conflitti in corso, non garbano all’autore, più in sintonia, forse, con il trito canto corale dei guerrafondai “con Kiev fino alla fine”, che mi sembra una profezia che si sta autoavverando. L’articolo si conclude con l’allarmato invito ad avere paura come primo passo “per attrezzarsi per opporre ragionata e appassionata resistenza”. Ci manca solo di rievocare “no pasaran” e Dolores Ibarruri e, magari, una sottoscrizione, per la difesa dall’assedio di Trump, su GoFundMe.
Aggiornato il 28 gennaio 2025 alle ore 17:55