Donald Trump sarebbe, dunque, un appassionato giocatore di Monopoli? Si direbbe proprio di sì, analizzando la vita precedente del tycoon prima del suo ingresso alla Casa Bianca nel 2016, in cui lo accompagnava la fama di spietato immobiliarista, ostico nelle transazioni e ultimo a mollare la trattativa. Ma poiché oggi le caselle da occupare si collocano nel mondo reale globale, il discorso si fa profondamente diverso a causa della eterogeneità e molteplicità degli attori in gioco. Per esempio, se in campagna elettorale è stato possibile per Trump giocare a carte coperte invitando i suoi elettori repubblicani all’atto fideistico, per cui il suo taumaturgico intervento avrebbe messo fine all’istante al conflitto in corso in Ucraina, ora bisogna iniziare a scoprire qualcuna di quelle carte. Occorre, cioè, dare una prova concreta di essere il Commander in chief dell’America, non solo per il numero di ordini esecutivi adottati al momento del proprio insediamento. Trump, cioè, deve andare oltre l’illusione indotta che sarebbe stato sufficiente il suo solo invito a Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky a mettersi intorno a un tavolo, per trovare magicamente la quadratura su di un difficile accordo di pace. Quantomeno Trump avrebbe dovuto indicare a priori una qualche soluzione praticabile “alla coreana”, ovvero, una tregua a tempo indeterminato, laddove ognuno si tiene i vantaggi acquisiti sul campo, pochi per gli ucraini e molti per i russi, ma con ampie garanzie occidentali da offrire a Kiev sulla sua sicurezza.
Tuttavia, non è affatto da sottovalutare la premessa che sta dietro l’invito esplicito del Presidente Usa, del tipo Siediti e tratta, rivolta a entrambi i contendenti. Strategia quest’ultima destinata a funzionare da deterrente, in quanto apre alla possibilità di sanzionare selettivamente e in modo unilaterale (metodo privilegiato da Trump) uno dei due. In pratica, si promette al leader ucraino di duplicare le forniture americane di armi, qualora Putin si rifiuti di trattare. O viceversa di sospenderle, nel caso in cui a rifiutarsi sarebbe lo stesso Zelensky. Chiaro che siccome quest’ultimo non si può assolutamente permettere di perdere l’indispensabile (e insostituibile) aiuto strategico americano, non farà mai il primo passo per sabotare la trattativa, qualora Putin si renda in qualche modo disponibile. Pertanto, la cosa potrebbe davvero funzionare anche in ragione del fatto che, dopo tre anni di durissimo conflitto armato, sia russi e ucraini si trovano in uno stallo di fatto, con Kiev che non ha più uomini da mandare al fronte e con Putin che invece è costretto a chiederli alla Corea del Nord, per evitare il ricorso alla coscrizione obbligatoria, che rappresenterebbe per il suo regime autocratico l’inizio della fine del consenso interno fin qui goduto.
Semmai, il vero problema è proprio l’Europa che, dopo aver speso a favore di Kiev cifre pari se non superiori agli analoghi stanziamenti di Washington, potrebbe vedersi esclusa da una trattativa per lei assolutamente vitale, riguardando gli assetti strategici ai suoi confini orientali. Ora, è chiaro a tutti (solo gli scampoli del wokismo planetario si danno da fare per esorcizzarlo a parole) che l’ordine e la pax americani rappresentano il passato, mentre il presente privilegia i rapporti di forza nell’ambito delle relazioni internazionali, ormai esclusivamente multipolari. Sulla scacchiera globale, infatti, si rafforza sempre più il ruolo dei nuovi attori antioccidentali − Cina, Russia, Iran e Global south − mentre l’Europa si trova drammaticamente svantaggiata di fronte alle autocrazie vincenti, a causa della sua conformazione istituzionale, macchinosa e improduttiva sul piano dei rapporti di forza. Manca, cioè, ai poteri delegati di Bruxelles un punto apicale decisionale di comando unico, che si confronti su di un piano paritario con Donald Trump, Vladimir Putin, Xi Jinping, Ali Khamenei e Narendra Modi. Al contrario dei poteri citati, infatti, le decisioni della Ue sono fortemente rallentate e pochissimo efficaci. Soprattutto, quando si ha l’esigenza di avere un peso continentale nel nuovo universo trumpiano, che privilegia i rapporti bilaterali, totalmente sbilanciati a svantaggio delle Nazioni medio-piccole, come lo sono a tutti gli effetti i Paesi europei che amano andare divisi, ciascuno orgoglioso delle proprie prerogative nazionali.
Il nostro vero black hole risiede da molti decenni nella mancanza di una Difesa comune europea, sabotata molti anni fa dalla politica fallimentare della chaise vide, praticata dal Generale De Gaulle. Così, non solo abbiamo tante piccole industrie degli armamenti, dispendiosissime perché separate, ma non disponiamo di risorse comuni per metterle a fattor comune e creare una massa critica, tecnologica e produttiva, da competere con gli altri colossi asiatici e americani. Per non pochi Presidenti americani (Trump arriva solo buon ultimo) noi siamo gli enfants gatés della Storia, visto che abbiamo sviluppato un welfare che tutto il mondo ci invidia grazie all’ombrello nucleare e convenzionale americano. Ora, è chiarissimo che, venendo meno la coesione dell’Alleanza atlantica per una serie di fattori contingenti, quali il necessario riposizionamento internazionale dell’America per fronteggiare la situazione nel Mar Meridionale di Cina (e Pechino in particolare), per la legge dei vasi comunicanti ciò che viene oggi a mancare ce lo dobbiamo mettere noi. E l’errore storico più clamoroso venne fatto proprio nel 1992, quando non solo non sciogliemmo il Patto atlantico a fronte della dissoluzione del Patto d’Acciaio sovietico, ma non firmammo nessun accordo sulla sicurezza internazionale che potenziasse e sostituisse definitivamente quello di Yalta.
Dovevamo, cioè, garantire allora alla nuova Russia di Michail Gorbačëv la sicurezza dei confini europei, avviando un’equa riforma dei commerci mondiali, con uno scambio equilibrato tra materie prime russe e tecnologia occidentale. Germania e Usa sono i massimi responsabili di questo immenso disastro strategico perché la prima voleva trattare, come ha fatto, direttamente con Mosca le forniture energetiche a prezzi imbattibili. Mentre la seconda aveva bisogno di sfruttare al massimo l’immenso spazio della forza lavoro cinese, per abbattere i costi della sua produzione industriale. Oggi, Putin agita la spada di Brenno sulla bilancia e si può star sicuri che l’America non manderà per la terza volta i suoi marine a morire in territorio europeo, nel caso di un nuovo conflitto armato tra noi e la Russia. Faremmo bene a copiare l’India e a sottoscrivere vantaggiose joint venture con Washington per unificare le industrie occidentali degli armamenti. Altrimenti saranno guai.
Aggiornato il 27 gennaio 2025 alle ore 15:39