Con la fine dell’amministrazione presidenziale di Biden inizia un nuovo percorso geopolitico, in cui quelle logiche interventiste finora applicate nello scacchiere mondiale saranno notevolmente ridimensionate.
Biden, proseguendo le politiche belligeranti internazionali iniziate dal “Premio Nobel” per la pace Barack Obama (ossia il più grande guerrafondaio di tutti presidenti della storia statunitense), ha concentrato maggiormente la sua attenzione e le finanze statunitensi verso il Medio Oriente e poi verso l’Ucraina, dove ancora sussiste una guerra, iniziata molto prima del 24 febbraio 2022.
Pertanto, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca segnerebbe un cambiamento radicale, con un possibile consolidamento di alcune delle politiche mediorientali già avviate durante il suo primo mandato, ma con adattamenti alle mutate circostanze geopolitiche.
Le sue priorità sembrano ruotare attorno a tre elementi fondamentali: il rafforzamento dell’alleanza con Israele, la rivitalizzazione degli Accordi di Abramo e una gestione pragmatica delle tensioni nella regione, pur mantenendo una focalizzazione sulle priorità interne e globali, come il confronto con la Cina.
Il sostegno a Israele e le incognite
Durante il primo mandato, Trump ha dimostrato un appoggio deciso a Israele, culminato nello spostamento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme e nel riconoscimento delle alture del Golan come territorio israeliano.
Tuttavia, il suo rapporto con Benjamin Netanyahu potrebbe rivelarsi più complesso in futuro, perché le divergenze personali e alcune riserve sulla gestione israeliana di eventi chiave, come l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, suggeriscono che Trump potrebbe adottare un approccio meno incondizionato rispetto al passato.
Nonostante ciò, il sostegno statunitense a Israele resterà un caposaldo della politica estera americana, anche se con un’attenzione più mirata alla stabilizzazione della regione, per evitare conflitti prolungati che possano distogliere risorse strategiche dagli altri obiettivi globali di Washington.
Gli Accordi di Abramo e il riavvicinamento saudita-israeliano
Trump ha presentato gli “Accordi di Abramo” come una pietra miliare della sua politica estera, promuovendo la normalizzazione dei rapporti tra Israele e diversi Paesi arabi, come Emirati Arabi Uniti e Bahrein.
Il prossimo passo sarebbe il coinvolgimento dell’Arabia Saudita, un obiettivo che potrebbe ridisegnare gli equilibri in Medio Oriente.
Questo processo, tuttavia, richiederebbe un impegno diplomatico significativo per superare le resistenze interne ed esterne.
L’intento di isolare ulteriormente l’Iran attraverso un’alleanza arabo-israeliana rimarrebbe una priorità strategica, ma il successo dipenderà dalla capacità di conciliare gli interessi divergenti delle potenze regionali.
Il conflitto a Gaza e la necessità di stabilità
Il conflitto tra Israele e Hamas rappresenta un ostacolo al pieno sviluppo degli Accordi di Abramo. Trump potrebbe esercitare pressioni su Israele per mantenere una tregua duratura a Gaza, nell’ottica di ridurre le tensioni e creare un contesto più favorevole alla cooperazione regionale.
Tale approccio rifletterebbe la sua visione pragmatica, volta a concentrare le energie su sfide globali, come il contenimento della Cina e il rafforzamento dell’influenza statunitense nel Pacifico e nell’Artico.
Conclusione
La politica mediorientale di Trump nella sua nuova amministrazione sarà probabilmente caratterizzata da una combinazione di continuità e pragmatismo.
Sebbene il sostegno a Israele e la pressione sull’Iran resteranno pilastri centrali, Trump cercherà di ridurre il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nei conflitti della regione, favorendo soluzioni diplomatiche e investendo in alleanze strategiche.
Tuttavia, il successo di questa strategia dipenderà dalla capacità di gestire le relazioni con gli alleati regionali e di affrontare le complessità di un Medio Oriente in continua evoluzione.
Aggiornato il 20 gennaio 2025 alle ore 16:04