Iran-ostaggi: il gioco delle parti

Spesso operazioni diplomatiche suscitano perplessità o ammirazione per come sono state gestite, ma se si indugia sui fatti cercando di staccarsi dai risultati, si scorge che si potrebbe inserire l’evento su un palcoscenico, magari attingendo a opere pirandelliane come Il giuoco delle parti. La questione della giornalista italiana Cecilia Sala e del rappresentante di armi iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, ricadono in una serie di dinamiche dove Iran, Italia e Stati Uniti hanno interpretato egregiamente i loro ruoli mostrando rispettivamente i migliori punti di forza. L’Iran sta attraversando un periodo decisamente di bassa credibilità. Ha esaurito, per ora, il piano che vedeva “l’Asse della resistenza” (Iran, Siria, Hezbollah, Houti yemeniti, Hamas, milizie sciite siriane e irachene), combattere compatto contro Israele. Ha visto anche la “Mezza luna sciita”, che comprende i componenti su elencati meno Hamas che è una formazione sunnita, tramontare mestamente dietro la collina dei fallimenti del Governo degli Ayatollah. Ma l’operazione che ha liberato il rappresentante Mohammad Abedini Najafabadi, ha dato respiro al decadente regime rimettendolo, in questo caso positivamente, sulla bilancia dei negoziati internazionali.

L’Italia, anzi l’Esecutivo italiano, ha confermato una credibilità internazionale, carente da decenni, non tanto per avere voluto, nonostante gli apparenti veti degli interlocutori statunitensi, liberare “l’audace” giornalista, ma perché, contrariamente alle consuetudini, ha probabilmente dissuaso l’ex prigioniera (tre settimane con i tempi dei tribunali iraniani sono un battito di ciglia), a fare la tediosa sfilata sui spesso discutibili palcoscenici televisivi, magari alla ricerca di notorietà, credibilità e altro. Questo atteggiamento ritengo che abbia fatto decisamente la differenza rispetto alle modalità fino ad ora viste, aggiunto alla velocità della liberazione. Gli Stati Uniti (in questo caso Donald Trump) anche se ufficialmente hanno espresso un disappunto, formale e probabilmente concordato, sulla liberazione del rappresentante di armi iraniano, in realtà hanno sul piatto della bilancia operazioni di livello planetario che offuscano qualsiasi altra “quisquilia” diplomatica. Comunque, Abedini, che opera in Svizzera con la sua società la SadraLab, è accusato di avere fornito tecnologia bellica ai pasdaran (guardie della Rivoluzione islamica); il suo complice naturalizzato in Usa, Mahdi Sadeghi, è accusato di avere collaborato con Abedini nell’organizzare la spedizione di “articoli” sanzionati in Iran, è tuttora in un carcere statunitense, e questo basta.

Ma l’operazione italiana ha fatto scalpore nelle diplomazie internazionali, soprattutto in quelle che hanno connazionali detenuti nelle carceri iraniane. Un caso è scaturito poco dopo la liberazione della giornalista italiana, quello del francese trentaquatrenne Olivier Grondeau, arrestato a ottobre 2022 a Shiraz città ubicata a Sud del Paese, e condannato a cinque anni di carcere con l’accusa di cospirazione contro la Repubblica islamica; un’accusa generica che ricade nella violazione delle “leggi islamiche”. Dopo la liberazione lampo della giornalista italiana, lunedì 13 gennaio la madre di Olivier, Thérèse Grondeau ha deciso di rendere pubblica la condizione del figlio, ricordando che altri due francesi sono detenuti in Iran. La comunicazione della sua condizione è avvenuta tramite una telefonata a Radio France Inter, una delle maggiori emittenti pubbliche francesi. Durante la conversazione telefonica, Thérèse ha manifestato la grande sofferenza dei detenuti e la loro resistenza che si sta esaurendo. I compagni di prigionia, non di cella di Olivier, sono i due connazionali Jacques Paris e Cécile Kohler, anch’essi prigionieri in Iran dal 2022.

Sono stati fatti ascoltare a radio France Inter anche massaggi mandati da Olivier alla madre. Le fasi descritte da Thérèse Grondeau dei rapporti con gli interlocutori iraniani sono state divise in una prima fase diplomatica, durante la quale hanno lasciato che la situazione andasse avanti con modi e tempi dei tribunali iraniani, ma senza il minimo risultato; poi un periodo di riflessione dove Olivier ha pensato cosa poter fare, ma infine c’è stato il recente passaggio ai media, spinto dalla liberazione dell’italiana. Ma la “grandeur transalpina” ha subito un altro piccolo smacco quando la tedesco-iraniana Nahid Taghavi, attivista per i diritti delle donne, arrestata nell’ottobre 2020 a Teheran, è stata rilasciata e rimpatriata in Germania domenica 12 gennaio. Condannata a più di dieci anni di carcere nell’agosto 2021 per appartenenza a un gruppo che professava idee non conformi alla propaganda di regime.

L’Iran detiene in prigione numerosi cittadini occidentali anche con doppio passaporto, che vengono generalmente utilizzati, come confermano anche organizzazioni non governative, Ong, come merce di scambio nei negoziati tra nazioni, assumendo la configurazione di “ostaggi di Stato”. Le diplomazie occidentali esortano da tempo i propri concittadini a evitare di recarsi in Iran (come in altre nazioni a rischio), e se presenti di uscire prima possibile. Mettere sotto “stress diplomatico” la propria nazione coprendosi dell’ombrello del diritto a informare, pare piuttosto un azzardo, forse calcolato, anche alla luce delle classifiche sulla libertà di stampa, Rsf, Reporters Sans Frontières, che pone stati come l’Iran al 176° posto su 180. Una condizione di nota coercizione informativa che non può essere risolta né con tentativi di ricerca di notizie dall’interno, né con modalità comportamentali non consone alla propaganda di Stato.

Aggiornato il 20 gennaio 2025 alle ore 11:11