Le tre battaglie di Gaza nel 1917. Immunità a Benjamin Netanyahu
Mentre sta arrivando la tregua a Gaza (effettiva dal 19 gennaio col rilascio scaglionato dei primi 33 ostaggi, si spera che siano vivi), per Benjamin Netanyahu arriva una buona notizia dall’Italia, il cui Governo non recepirà la sentenza con mandato di cattura internazionale emessa dalla Corte dell’Aja. Lo stesso è già avvenuto da parte del governo francese. Per capire almeno una parte del conflitto israelo-palestinese, sarà utile raccogliere alcune notizie scritte da Noah Harari in Nexus, riferite al fronte mediorientale della Prima Guerra mondiale, quando l’Impero ottomano in crisi venne soppiantato da un’alleanza tra arabi e inglesi. A parte figure leggendarie e utili agli inglesi per rinsaldare il loro soft power presso le popolazioni locali, come quella di Lawrence d’Arabia, Gaza fu un teatro di guerra decisivo.
Dopo aver respinto un attacco ottomano nella penisola del Sinai e al canale di Suez, gli inglesi passarono al contrattacco, ma fino a novembre 1917 furono bloccati da una linea fortificata che si estendeva tra Be’er Sheva e Gaza. Nel luglio di quell'anno Lawrence aveva liberato Aqaba e parte dell’Arabia orientale, anch’essa colonia ottomana. Be’er Sheva è oggi una città israeliana di circa 200mila abitanti nel deserto del Negev, a est di Gaza, la cui popolazione è cresciuta grazie a un sistema di distribuzione delle acque molto innovativo ed efficace. Gli inglesi furono respinti nella prima battaglia di Gaza (marzo 1917), e nella seconda battaglia (aprile 1917).
Intanto gli ebrei filobritannici residenti nella vecchia Israele (Gerusalemme ha mantenuto quasi sempre una maggioranza di popolazione ebrea) avevano organizzato un servizio segreto, chiamato Nili, allo scopo di informare gli inglesi sui movimenti delle truppe turche dietro le linee. Utilizzavano due codici per comunicare con gli inglesi. Sarah Aaronsohn, una comandante del Nili, utilizzava un codice basato sull’apertura e chiusura delle imposte di una finestra per comunicare le informazioni alle navi inglesi ancorate al largo della costa oggi israeliana. Alla fine gli ottomani scoprirono l’esistenza della Nili grazie a un incidente: il secondo sistema di comunicazione cifrata era basato sui piccioni viaggiatori, ma uno di questi sbagliò rotta e finì proprio nella casa di un ufficiale turco, che però non riuscì a decifrare il codice del messaggio. Tuttavia gli ottomani capirono che un’organizzazione passava informazioni al nemico. La Nili fece sparire tutti i suoi piccioni viaggiatori, che erano ormai una prova di spionaggio, ma la rete fu comunque scoperta e molti membri vennero giustiziati.
Sarah Aaronsohn, per evitare di rivelare i nomi di altri aderenti, si suicidò temendo di confessare i segreti della Nili una volta sottoposta alle inevitabili torture dei turchi. Comunque le informazioni utili ricevute servirono alla vittoria inglese nella terza battaglia di Gaza (1 e 2 novembre 1917). Il 2 novembre il ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour rilasciò la così detta “Dichiarazione Balfour”, con la quale il Regno Unito annunciava il suo favore alla “istituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico”. Il suicidio della Aaronsohn è un segno della volontà di creare e mantenere quel “focolare nazionale”, che Hamas ha voluto deliberatamente colpire con una strage assurda quanto orribile, le cui conseguenze per la popolazione di Gaza sono certo state pesantissime.
Un altro dato di rilievo che emerge dalla ricerca storica sui primi decenni del Novecento è l’alleanza de facto tra quello che sarebbe diventato il Regno saudita e quella che sarebbe diventata Israele. Quell’alleanza che è rinata con gli Accordi di Abramo, coordinati da Donal Trump. In questa fase l’area del Vicino Oriente tra Gaza e la Turchia potrebbe diventare come un secolo fa il terreno di uno scontro – non dichiarato – tra Turchia e arabo-israeliani. La Turchia vuole sostituire l’Iran come factotum dell’area, dissolvendo la dittatura degli Assad filoiraniani. Il prossimo scontro sarà tra turchi e la regione curda in Siria. L’asso pigliatutto potrebbe però non essere Recep Tayyip Erdoğan quanto piuttosto Mohammed bin Salman, principe reggente saudita, che ha utilizzato le sconfitte subite dai proxy iraniani da parte israeliana. Lo ha fatto con ottimo tempismo in Libano, imponendo come presidente il generale Joseph Aoun, che è nel contempo anche il comandante delle Forze armate libanesi. Nel frattempo i sauditi hanno fatto suonare la sveglia per Abu Mazen, imponendogli la chiusura delle postazioni di Hamas e dei jihadisti palestinesi di Jenin. La battaglia contro i jihadisti è costata la morte di alcuni militari della Anp, ma ha messo fine al tentativo di integrazione militare tra l’estremista Al Fatah e i residui di Hamas, che avevano siglato un accordo di massima a Mosca nel marzo 2024.
Proprio Mosca è – dopo l’Iran – il secondo Stato perdente nel conflitto diffuso tra Gaza, Libano e Siria. Bin Salman sta compiendo una conversione a “u” nelle forze composite (ma tutte sunnite) che hanno abbattuto il regime infame di Bashar al-Assad. I sauditi hanno fiumi di petrodollari per gestire la transizione siriana verso un moderatismo legato a Riyad (se tale resterà rispetto ai tempi del principe saudita Osama bin Laden). La sconfitta di Mosca si evidenzia con la chiusura del contratto per le basi navali russe in Siria. Da ciò potrebbe nascere un confronto (quanto duro non si sa, data la presenza nell’area degli Stati Uniti di Donald Trump) con la Turchia. Il nuovo impero ottomano, che è il brand di Erdogan, vorrebbe infatti prendersi le basi navali che furono affittate alla Russia iperbellicista del Putin post invasione dell’Ucraina. È inoltre possibile un protettorato a doppia mandata, con una spartizione della Siria tra Turchia (a nord, ma non nella parte curda, protetta dagli Usa) e i Sauditi, che dovranno però penetrare in tutto il complesso mondo integralista, convincendolo a deporre le armi e il terrorismo.
Queste operazioni non sono certo semplici, ma potrebbero portare a un mondo meno esplosivo, e non solo nel Vicino Oriente, ma persino tra Ucraina e Russia e tra Cina e Taiwan. Riaprire i commerci e rinfoderare le spade sarebbero un toccasana per l’economia mondiale, simile a quanto avvenne negli anni Ottanta del secolo scorso, con l’autodissoluzione dell’Unione sovietica, cui non fu estranea l’Arabia Saudita, col suo dumping sul prezzo del petrolio, concordato col presidente Ronald Reagan. E se non saranno rose, non fioriranno. Pazienza.
Aggiornato il 17 gennaio 2025 alle ore 10:34