Chi è Elon Musk? Dapprima, un nume tutelare caro ai progressisti woke, tramutato in nemico mortale dai suoi stessi adoratori di prima, con una buona dose di veleno ideologico, subito dopo essere divenuto un fervido sostenitore di Donald Trump e, praticamente, suo braccio destro. Stessa sorte è toccata al suo collega Mark Zuckerberg, ora parimenti ripudiato, poiché ha osato rimangiarsi la censura del fact checking, docile ancella del pensiero mainstream. Quindi, con ogni probabilità, l’uomo più ricco (e geniale) del mondo non è né l’una, né l’altra cosa, per cui lo stigma positivo/negativo datogli alternativamente dai suoi adoratori/odiatori non ha nulla di fattuale e oggettivo. Per i suoi implacabili avversari Musk avrebbe costituito, grazie al suo social X e alla rete di satelliti Starlink, un planetario ecosistema digitale che funziona come una divisione corazzata per incursioni e blitzkrieg in territori stranieri, che siano media, o sistemi socio-politici, come è di recente accaduto con le feroci critiche al premier inglese Sir Keir Starmer sul fatto di nascondere sistematicamente gli stupri etnici nelle statistiche ufficiali. Dowing Street ha preso malissimo la cosa, ma ha risposto balbettando, rendendosi conto che oggi la comunicazione non passa più per i grandi quotidiani politically correct della City, ma per i social network che hanno nel mondo miliardi di iscritti, di cui alcune decine i milioni nel solo Regno Unito. Aspetto quest’ultimo che fa di Musk un barone mediatico molto più potente di Rupert Murdoch, per la produzione di notizie in tempo reale, nonché per promuovere campagne personali e mettere nel mirino a sua discrezione qualunque regime ed esponente politico in ogni parte del mondo.
Questo assetto di potere globale digitale funzionerebbe al pari di una rete a strascico, destinata a tirarsi dietro, come un centro gravitazionale occulto, politici compiacenti che approfittano della scia accodandosi con le opinioni e i giudizi espressi da Musk, per vedere il loro “conforme” punto di vista enormemente amplificato sui social media. Del resto, si è visto come le tempeste mediatiche, che si originano con milioni di messaggi su X e Facebook, condizionino notevolmente il margine di manovra degli esponenti politici nazionali. Per capire serenamente la portata della posta in gioco, vale la pena soffermarsi sui 75 minuti di intervista, seguita da 200mila persone, di Musk con Alice Weidel, leader del partito di estrema destra tedesco Alternative für Deutschland (Afd), definita con eccessiva enfasi da lui stesso come “il principale candidato alla guida della Germania”, e alla quale ha augurato la vittoria alle prossime elezioni legislative del 23 febbraio. Nell’intervista, la Weidel (che si auto definisce “conservatrice libertaria”) ha tenuto a ringraziare Musk per averle offerto l’opportunità di parlare senza essere continuamente interrotta o delegittimata, cosa che per lei ha rappresentato un fatto del tutto nuovo e inedito. Quando, nel corso di un’animata discussione, l’intervistatore ha invitato la Weidel a prendere le distanze dal nazismo, la sua ospite ha risposto che Adolf Hitler era un socialista e non un uomo di destra, con evidente gusto del paradosso.
Le obiezioni della stampa progressista internazionale all’intervista sono state abbastanza ovvie, contestando a Musk di aver in tal modo sponsorizzato una formazione di destra filorussa, antiamericana, negazionista sui cambiamenti climatici, della quale peraltro fanno parte esponenti politici (finiti sotto stretta sorveglianza da parte dell’intelligence tedesca) filonazisti e apertamente antisemiti, favorevoli alle espulsioni di massa degli immigrati irregolari, o che siano stati condannati in Germania per gravi reati. Di fatto, il timore concreto dei media progressisti è da ricercare nel fatto che l’AfD, da loro demonizzato in tutti i modi possibili, finisca per diventare il primo partito con le elezioni di febbraio prossimo (attualmente i sondaggi lo attestano intorno al 20 per cento, mentre i cristiano democratici sono dati vincitori con più del 30 per cento), come accaduto in Olanda, con la vittoria del Partito per la libertà (Pvv) di ultra destra, il cui leader Geert Wilders, a seguito del risultato elettorale, ha ricevuto l’incarico di formare il nuovo governo. In generale: è giusto che i multimiliardari alla Musk finanzino solo e soltanto il progressismo woke, che danni incommensurabili ha provocato all’Occidente e al resto del mondo con la sua corsa ai diritti, a beneficio di ristrettissime minoranze, che intendono dettar legge a larghissime maggioranze; con la globalizzazione sregolata e l’immigrazione aperta? Oppure è bene mettere qualcosa d’altro sul piatto vuoto della bilancia politica mondiale?
Se la “marea nera” dell’estrema destra sta avendo questo ritorno storico solo dieci anni fa impensabile, di chi è la colpa? Per i fanatici woke sarebbe il popolo, lasciato pericolosamente libero, a votare in modo scorretto contro la democrazia stessa, prescindendo in questo loro fanatismo dall’insegnamento fondamentale delle dottrine politiche, per cui il cittadino, in presenza di un forte clima di insicurezza (in cui, ad esempio, i tutori dell’ordine non sono liberi di agire), è sempre più orientato a barattare un po’ della sua libertà con più sicurezza, personale e sociale. Insomma, obiettivamente, la coraggiosa intervista di Elon Musk alla Weidel rappresenta in buona sostanza una bella lezione di democrazia volterriana da parte dell’uomo più ricco del mondo. Ora, in tutta sincerità, qual è la differenza con i grandi quotidiani nazionali italiani dell’Ing. Carlo De Benedetti, in cui per almeno un ventennio si è fatta campagna aperta per i principali esponenti del Partito democratico, sostenuti a spada tratta per la guida del Governo italiano?
Aggiornato il 16 gennaio 2025 alle ore 10:00