L’affaire Georgescu ovvero la malleabilità della democrazia

A dicembre abbiamo assistito, sgomenti, all’annichilimento, per via giudiziaria, del candidato presidenziale Călin Georgescu in Romania, per possibili (non probabili, si noti, ma possibili) interferenze russe nel voto. Ipotesi poi smentita dalla successiva (?!) inchiesta. Non ci sembra inverosimile che Georgescu sia stato defenestrato perché, come descritto dai suoi avversari, era un “nazionalista, sovranista, critico della Nato e dell’Unione europea”. E poco ben disposto verso la continuazione degli aiuti per la guerra in Ucraina. Insomma, un dissidente, uno scismatico, un eretico, fate voi. Chi si allontana dall’ortodossia euroatlantica deve essere cacciato senza troppi formalismi. Poco importa se è stato regolarmente votato dai suoi concittadini. A noi pare una cosa da dittatura militare centroamericana del secolo scorso, non da Paese democratico e membro dell’Unione europea (la vicenda ha fatto infuriare persino il giornalista Paolo Mieli).

Pretendiamo di esportare democrazia e libertà e ci comportiamo esattamente come quei regimi totalitari che negano diritti e rappresentanza politica. Anzi peggio, perché da un’autocrazia, tirannica e autoritaria, ce lo possiamo aspettare. Non da questo Occidente che si erge a guida morale del pianeta. E, se il semplice sospetto di “interferenze russe” può portare alla invalidazione di un voto, sarebbe legittimo chiedersi da quale diversa fonte esterna possa essere arrivata la moral suasion – o, meno prosaicamente, la richiesta – di eliminare lo scomodo dissidente.

E invece tutto tace sui media e nel dibattito politico internazionale. Il popolo è sovrano finché fa quello che gli si dice di fare. Negli altri casi si trova sempre un suggeritore e un tribunale disposti a correggerlo. Parafrasando Giulio Andreotti, “a essere complottisti si fa peccato ma spesso si indovina”.

Aggiornato il 09 gennaio 2025 alle ore 10:30