Nella base aerea di Ramstein, si tornerà a parlare di difesa dell’Ucraina. Il prossimo gruppo di contatto è fissato per il 9 gennaio, in Germania, e vedrà a partecipazione di oltre 50 Paesi, inclusi i 32 dell’Alleanza atlantica e il segretario della Difesa americano Lloyd Austin, in quello che sarà uno dei suoi ultimi incarichi ufficiali. Una data cerchiata in rosso sul calendario della diplomazia internazionale. Questo incontro, il 25° da quando l’Ukraine defense contact group è nato nell’aprile 2022, si conferma un momento cruciale per definire strategie, aiuti e sostegni concreti a Kiev. L’ultimo summit, tenutosi il 6 settembre, aveva messo in chiaro un punto: la comunità internazionale è con l’Ucraina, ma il cammino non è privo di ostacoli. Il vertice di ottobre, che avrebbe dovuto ospitare anche il presidente Joe Biden, è saltato all’ultimo per l’emergenza dell’uragano Milton nello Stato della Florida. Una parentesi, certo, ma sufficiente a rallentare il ritmo di un coordinamento già complesso.
L’UCRAINA VUOLE LA PACE, NON A TUTTI I COSTI
Se in Occidente si pianificano strategie, in Ucraina il dibattito si fa sempre più acceso. Il popolo ucraino, che da quasi due anni vive il conflitto sulla propria pelle, guarda alla pace con un misto di speranza e cautela. Non è un mistero: gli ucraini vogliono la pace, ma non a qualunque costo. Un sondaggio dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev ha messo nero su bianco l’opinione pubblica. Il 47 per cento degli intervistati si oppone a un accordo che, pur permettendo l’ingresso nell’Unione europea, vieti l’adesione alla Nato. Una posizione netta, sebbene in calo rispetto al 54 per cento di giugno. L’apertura al compromesso c’è, ma solo entro certi limiti. “Pace sì, ma non svendiamo la dignità”, sembrano dire i dati.
Tra le alternative ipotetiche proposte, l’adesione simultanea a Nato ed Ue, anche rinunciando temporaneamente alla liberazione della Crimea e di altri territori occupati, ha raccolto il 64 per cento di consensi. Un balzo significativo rispetto al 47 per cento di sei mesi fa. Un’altra opzione, che include la restituzione di Zaporizhzhia e Kherson, rimandando però la liberazione di Donbas e Crimea, ha convinto il 60 per cento degli intervistati. Numeri che mostrano una popolazione disposta a mediare, ma con intelligenza. Il tema delle concessioni resta il tasto dolente. Più della metà degli ucraini (51 per cento) si oppone categoricamente a cedere territori alla Russia, un dato comunque in calo rispetto al 58 per cento di ottobre. Dall’altro lato, cresce il fronte di chi accetterebbe “qualche compromesso”, passato dal 32 per cento al 38 per cento in dicembre.
È un tira e molla che riflette le tensioni tra il desiderio di pace e la necessità di non perdere pezzi di sovranità. “Meglio un brutto accordo che una guerra eterna?” Non esiste una risposta semplice e giusta. Per molti ucraini, la difesa del territorio rimane una questione di identità nazionale, qualcosa che non si baratta.
Aggiornato il 03 gennaio 2025 alle ore 13:56