Il Sudan da aprile 2023 è flagellato da una guerra civile esplosa solo per questioni di potere, ma in un contesto dove i conflitti sono fisiologici e quindi difficilmente evitabili. In questo drammatico scenario si contrappongono l’esercito regolare guidato dal generale Abdel Fattah Abdelrahman Al-Bourhane, ai paramilitari, ex “braccio rapido” delle forze governative, le Fsr ovvero Forze di supporto rapido, guidate dal ex alleato, il generale Mohammed Hamdan Daglo, conosciuto come Hemetti. Un conflitto, quello sudanese, dagli aspetti devastanti: stupri di massa, esodi drammatici, vittime civili, interferenze straniere, come i mercenari della ex Wagner, e altri prezzolati miliziani, e secondo un recente rapporto dell’International Rescue Committee, una Ong con scopo umanitario, sarebbero morti decine di migliaia di persone, provocando lo sfollamento di almeno dodici milioni di persone, configurandosi come la più grande crisi umanitaria oggi esistente sul Pianeta. In questa complessa realtà dove l’esistenza è un obiettivo con orizzonte quotidiano, l’aspetto sanitario si allinea, ovviamente, a quello della lotta per la sopravvivenza, mostrandosi incanalato in un percorso dove l’agonia predomina. Secondo quanto comunicato dal sindacato dei medici sudanesi, nelle zone di guerra dove si confrontano le due fazioni, almeno il novanta per cento delle strutture sanitarie, sia ospedali che centri di soccorso e cura, sono state costrette a chiudere, aggravando le condizioni già estremamente difficili di milioni di persone.
Un sistema sanitario fatiscente dove i sanitari lavorano sotto i bombardamenti e dove una crisi umanitaria senza precedenti è coadiuvata anche da una carestia incombente. Gli ospedali ancora operativi, tra raffiche di mitra, bombardamenti e incursioni di miliziani poco identificabili, sono il centro medico Al-Nao, uno degli ultimi ancora parzialmente attivi situato nella città di Omdurman, un centro importante con servizi simili a quelli disponibili nella capitale Khartum. Infatti, in base a quanto comunicato dall’Università di Yale, Stati Uniti, e dall’Associazione dei medici sudanesi-americani, che hanno analizzato le immagini satellitari, risulta che la guerra civile ha a oggi danneggiato almeno la metà degli ottantasette nosocomi presenti nella regione di Khartoum. A fine ottobre, l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha contato quasi centoventi attacchi contro strutture sanitarie, praticati tramite saccheggi, bombardamenti, incursioni e raffiche di artiglieria, che hanno devastato le attrezzature e causato gravi interruzioni nei soccorsi. Il fattore più significativo in questa sequela di distruzione e danneggiamento dei servizi di cura che ora più che mai sono necessari per la popolazione, è che si nota un assoluto disprezzo per gli aiuti che possono essere dati ai civili. Una distruzione diffusa che mette a rischio quel minimo necessario per fare fronte alle difficoltà soprattutto a carico delle donne e dei bambini. Risulta, da informazioni date dal sindacato dei medici sudanesi, che i ribelli delle Rsf di Hemetti avrebbero fatto incursioni negli ospedali, sia per curare i propri feriti ma anche per cercare eventuali nemici in cura nella struttura. Inoltre, sempre la stessa fonte ha rivelato che alcuni sanitari che non sono riusciti a salvare la vita dei loro affiliati sono stati aggrediti e feriti.
Dall’aprile 2023 almeno ottanta sanitari sono stati uccisi mentre erano in servizio o nella propria abitazione. La motivazione principale è che le due fazioni pensano che il personale sanitario stia collaborando con la fazione avversaria, il che li porta a essere oggetto di vendetta. Msf (Medici senza frontiere) da metà novembre, dopo che i miliziani hanno fatto una incursione all’ospedale Bachair, uno dei pochi ospedali ancora attivi a Khartoum, dove operavano, hanno ridotto le loro prestazioni. Anche il personale dell’ospedale pediatrico di Omdurman a fine ottobre ha sospeso parte della loro attività, considerando che le cure erano prevalentemente orientate verso bambini malnutriti e con patologie endemiche. Qui, dove l’incidenza della morte è circa del 10 per cento, assistevano almeno quaranta bambini al giorno. Il portavoce del Comitato internazionale della Croce Rossa per il Sudan ha dichiarato che gli istituti sanitari sono in rapido deterioramento e che necessitano di aiuti immediati. L’aspetto che anche in questo caso emerge è l’inefficienza dei principi del Diritto internazionale umanitario che, come “narra”, dovrebbe tutelare gli ospedali, chi vi lavora e i mezzi di soccorso. Ma in Sudan, come nella quasi totalità, dove sussistono conflitti a qualsiasi livello, questi principi non vengono quasi mai osservati.
Aggiornato il 19 dicembre 2024 alle ore 10:50