I media tradizionali non hanno il diritto di dare lezioni a nessuno sulla “verità”

Nel suo nuovo e chiacchierato saggio pubblicato su Atlantic, George Packer sostiene che i giornalisti “affronteranno una sfida speciale” nell’era del presidente eletto Donald Trump. “Viviamo”, scrive Packer, “in un mondo in cui i fatti si alterano all’istante a contatto con le menti umane”.

Per chi non conoscesse George Packer, è un celebre autore di numerosi libri, tra cui uno che pretende di raccontare la storia dello “sgretolamento” dell’America. Packer, antropologo culturale e psichiatra, avvolge la solita, mite saggezza popolare della Sinistra nel genere di prosa melodrammatica che impressiona i progressisti benestanti.

Ma forse il problema più caustico del giornalismo contemporaneo è che si comporta come se Trump rappresentasse una minaccia unica e pericolosa per il Paese, costringendo i giornalisti ad abbandonare molti dei loro standard etici per impegnarsi nella difesa della “democrazia”.

Contrariamente a quanto sostiene Packer, le “menti umane” (le migliori menti in circolazione, aggiungo io) oggi non sono più inclini a ignorare i fatti di quanto lo fossero in passato. Il cospirazionismo ha sempre fatto parte della politica americana. Atlantic, ad esempio, ha appena assunto un giornalista che sostiene che ci sia un’alta probabilità che Trump sia stato reclutato dal Kgb alla fine degli anni Ottanta e che sia tuttora una risorsa russa. Sì, è proprio così.

La differenza fondamentale è che al giorno d’oggi, anche le persone davvero curiose non possono più fidarsi del quarto potere, la stampa, per discernere ciò che è o non è reale. Invece di affrontare le sfide dell’era dei social media con un giornalismo più attento, professionale, etico e di larghe vedute, i grandi media sono andati in una direzione diversa, distruggendo la fiducia nell’intera istituzione.

Nella sua recente newsletter, che rimanda al pezzo di Packer, il giornalista della Cnn Brian Stelter, si rammarica della mancanza di copertura mediatica delle accuse di violenza sessuale mosse contro Pete Hegseth, scelto da Trump come segretario alla Difesa, argomento dominante della Sinistra, la scorsa settimana.

È vero, alla maggior parte dei Repubblicani non importa nulla, e la Cnn e altri hanno dato loro un’ottima scusa per non preoccuparsene. Molti di loro ricordano la copertura mediatica totale delle assurde accuse mosse contro Brett Kavanaugh. È stata una caccia alle streghe di parte, coordinata non solo per impedire la nomina di un “originalista” alla Corte Suprema, ma anche per mettere in imbarazzo e distruggere la sua credibilità in caso di successo. E non sto nemmeno a parlare delle accuse non corroborate da prove di Christine Blasey Ford, la quale non è stata in grado di indicare né l’ora né il luogo della presunta aggressione ai suoi danni. Mi riferisco alla sfilza di assurde dichiarazioni che ne sono seguite, tra cui lo stupro di gruppo, che hanno trovato spazio su tutti i media tradizionali. Per molti conservatori, anche centristi, è stato un fatto estremizzato.

Sostanzialmente ogni teoria del complotto e ogni accusa priva di prove troverà ascolto nei media tradizionali, purché sia rivolta alla persona giusta. E, in effetti, lo sforzo di delegittimare la Corte continua con le teorie complottiste sui giudici Clarence Thomas e Samuel Alito.

Non ho mai incontrato Hegseth e non ho idea di come sia realmente. Ma so che Nbc News, in un articolo che accusava l’ex conduttore di Fox News di essere ubriaco al lavoro, ha concesso l’anonimato a sette ex dipendenti di Fox News, ma non si è preoccupata di contattare uno solo dei suoi co-conduttori del network. Si sospetta che i giornalisti abbiano evitato di parlare con i colleghi più stretti perché le citazioni avrebbero complicato l’impatto fazioso, il che rende sospetta l’intera storia.

Questo è solo un piccolo esempio di ciò che accade costantemente in questi giorni.

Packer accenna solo a questa mancanza di professionalità, suggerendo che “invece di inseguire fantasmi sui social media, i giornalisti farebbero un uso migliore delle nostre scarse risorse, e forse riconquisterebbero un po’ di fiducia del pubblico, facendo quello che abbiamo fatto in ogni epoca: denunciare le bugie e la corruzione di oligarchi e plutocrati, e raccontare le storie di persone che non possono parlare per se stesse”.

Che ne dite di smascherare la ciarlataneria delle scienze sociali della classe degli “esperti” accademici, le bugie dei funzionari della sanità pubblica, le malefatte dei media, l’antisemitismo e l’antiamericanismo dell’istruzione superiore e l’autoritarismo dello Stato, l’entità più potente e pericolosa di tutte?

Dobbiamo denunciare le malefatte delle aziende, ma in base alla mia ventennale esperienza di giornalista, e forse fin dal Watergate, i reporter si sono considerati dei crociati nella lotta contro coloro che si trovano dalla parte sbagliata del divario ideologico. Un buon giornalista sarebbe felice di distruggere chiunque abusi del potere. Ma noi abbiamo degli attivisti progressisti. E il giornalista politico medio è talmente coinvolto emotivamente nelle isterie della Sinistra da aver perso il senso dello scetticismo, forse lo strumento più vitale del giornalismo.

Qualcuno potrebbe anche rimanere sorpreso, ma il compito principale del giornalista non è quello di “raccontare le storie di persone che non possono parlare per se stesse”. Non c’è niente di sbagliato nel dare voce alla gente comune, e poche cose i media tradizionali amano di più di una storia strappalacrime che aiuti a sostenere la loro causa politica, ma il lavoro consiste nel dire la verità, che la gente voglia sentirla o meno.

“Le notizie locali stanno scomparendo e una stampa nazionale molto depauperata può a malapena competere con le piattaforme mediatiche di miliardari che controllano gli utenti in modo algoritmico, con un flusso infinito di teorie complottiste e deepfakes”, prosegue Packer, “Internet, che aveva promesso di dare a tutti informazioni e una voce, ha consolidato in poche mani il potere di distruggere la nozione stessa di verità oggettiva”.

Come molti giornalisti di oggi, lo stipendio di Packer è pagato da un miliardario. Più di altri, il suo giornale è il progetto pretenzioso di un attivista di parte. I ricchi hanno sempre posseduto e finanziato i media. Per gestire un’informazione decente è necessario un notevole dispendio di capitale.

E anche se i media tradizionali sono impantanati in un pensiero ottuso, Internet ha offerto più diversità giornalistica che mai. Quando Packer ha iniziato a fare giornalismo, tre reti televisive dettavano la narrazione e il dialogo. Non c’era praticamente modo di contestare le loro rappresentazioni o affermazioni. L’unica responsabilità che Walter Cronkite aveva era autoimposta. La gente tende a romanticizzare i vecchi media, ma chi sa quante volte hanno tratto in inganno il pubblico? Solo con la democratizzazione di Internet è stato possibile smascherare in modo efficace la disonestà di persone come Dan Rather, che architettò un servizio giornalistico diffamatorio su George W. Bush. Ora, sui social media accadono molte cose brutte. Ma anche molte cose buone.

E, naturalmente, il vero problema di Packer è la mancanza di controllo delle informazioni. È arrabbiato perché Elon Musk è il proprietario di X.

Ad ogni modo, non si tratta di difendere il giornalismo “imparziale”, che è una favola donchisciottesca. Ogni persona pensante ha dei pregiudizi, siano essi ideologici, esperienziali, regionali o religiosi. Non è questo il punto. Il punto è assicurarsi che ci siano voci diverse nel panorama mediatico che parlino dei problemi. Packer vuole tenere d’occhio i “plutocrati”, e altri dovrebbero voler tenere d’occhio gli autoritari che gestiscono le nostre agenzie di Washington, tentacolari e incostituzionali. Il problema è che, con poche eccezioni, solo una parte è realmente coperta dai giornalisti mainstream.

I partisan ovviamente sono in cerca di notorietà, e nessuno è esente a tal riguardo. Ma non c’è mai stato nulla di simile alle divisioni interne che vediamo nella tv nazionale e sulle pagine dei giornali nazionali. Se non si riesce a illustrare correttamente la posizione di un avversario, probabilmente le argomentazioni avanzate sono inutili. Dopo aver trascorso un decennio ad accusare indolentemente di razzismo, fascismo e altre fobie tutti coloro con cui non si è d’accordo, non sono sicuro che queste persone siano più in grado di discutere.

Di certo, non i giornalisti più giovani, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello nelle scuole di giornalismo e che non sono in grado di accettare l’esistenza di opinioni in buona fede che cozzano con la loro sensibilità. In questa cultura, i collaboratori si ribellano e fanno rassegnare le dimissioni al direttore della pagina editoriale del New York Times per aver pubblicato un editoriale del tutto ragionevole scritto da un senatore in carica. In questa cultura, la redazione di Atlantic non sopporta di lavorare con un detrattore di Trump come Kevin Williamson.

Viviamo in un mondo in cui i giornalisti protestano dopo aver saputo di una nomina per il prossimo governo. Questo è assolutamente un problema culturale. È semplicemente patetico.

Ecco perché è divertente guardare qualcuno come Scott Jennings alla Cnn, uno dei pochissimi conservatori nei principali media al di fuori di Fox News disposto a difendere Trump o i suoi elettori. Non solo perché solitamente è più preparato, ma anche perché talvolta tira fuori eventi e argomenti che sembrano del tutto sconcertanti per i panelist di Sinistra.

Il problema non è mai stato che i giornalisti hanno seguito Trump in modo aggressivo. Il problema è che non fanno altrettanto nei confronti di chi sta dalla loro parte. Non è cosa da poco che i giornalisti che hanno accesso all’entourage del Presidente abbiano nascosto il suo declino cognitivo e fisico e, peggio ancora, abbiano gettato benzina su chi lo faceva notare. Come ci si può fidare di ciò che dicono ora?

Se volessero davvero riassestare il giornalismo, sarebbe facile. Basterebbe comportarsi come se ogni politico fosse Trump.

(*) Tratto da Washington Examiner

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada

Aggiornato il 16 dicembre 2024 alle ore 09:24