Dieci milioni di dollari, e scusate se è poco! Tanto vale la taglia americana, ormai chiaramente inesigibile, sul nuovo signore della Siria, Abu Mohammad al-Jolani, leader della milizia islamista Hayat Tahir al-Sham (Hts), scontato successore come uomo forte della Siria dell’oculista-dittatore, Bashar al-Assad. La caduta di Damasco a opera dell’Hts mette fine alla dinastia alawita degli Assad, padre e figlio, che hanno governato con il pugno di ferro il loro sfortunato popolo, causando parecchi milioni di profughi, nonché molte centinaia di migliaia di vittime civili, sterminate equamente da entrambi, anche con il ricorso ai gas nervini. Bashar, in particolare, dal 2011, data dell’inizio della guerra civile che si è conclusa con la recente presa di Damasco da parte dell’Hts, governava sulle macerie socio-politiche di un narcostato da tempo fallito, a causa della disastrosa guerra civile, iniziata con le Primavere arabe.
Ora, è di tutta evidenza il risiko geostrategico che sta dietro questo letterale terremoto degli equilibri politici mediorientali, perché, come in ogni gioco che si rispetti, la caduta del tiranno ha i suoi bei “pro” e “contro”. Iniziamo con gli ultimi, ovvero con le possibili ricadute negative sulla regione e non solo. Molti osservatori, partono dagli esempi disastrosi del 2003 e del 2011 quando, rispettivamente, l’invasione americana di George W. Bush provocò la destabilizzazione dell’Iraq, ridando vita e forza alla componente sciita e all’Iran, che non vedeva l’ora di poter sconfiggere con ignominia gli americani sul sacro suolo dell’Islam, cancellando l’odioso nemico iracheno. Saddam Hussein, infatti, aveva proditoriamente attaccato l’Iran nel 1980 (la guerra relativa è durata ben otto anni), facendo centinaia di migliaia di vittime tra i mujahidin iraniani.
Da lì e dal conflitto in Siria nasce lo Stato islamico di Isis, sconfitto da un’alleanza tacita e inedita tra Iran, Russia e Occidente. E dalle ceneri dell’Isis, con centinaia di migliaia di miliziani islamici rifugiatisi nella provincia siriana di Idlib, sotto la protezione del Fratello musulmano Recep Tayyip Erdoğan, nasce e si rafforza all’interno del pulviscolo islamico degli oppositori di Assad, proprio l’Hts di Al-Jolani. Quindi, ora tutti gli osservatori internazionali sono intenti a sezionare le uscite e le dichiarazioni pubbliche di Erdogan, per capire se è lui il vero burattinaio dell’intera faccenda, volendo ricostruire il suo impero ottomano a spese della Siria e dei curdi, o se, per caso, il gioco gli sia sfuggito di mano, visto che i suoi più potenti rivali-alleati, Russia e Iran, hanno abbandonato al suo destino il dittatore siriano lasciando solo il “sultano” a vedersela con il caos siriano.
Del resto, l’Ayatollah Ali Kamenei deve dedicarsi alla riorganizzazione dei propri proxy (Hamas e Hezbollah, decimati da Israele), e non aveva truppe scelte da mandare allo sbaraglio per salvare ancora una volta il regime alawita morente. D’altro canto, Vladimir Putin ha ritenuto bene di non rischiare nessun soldato russo per difendere l’indifendibile (visto che l’esercito siriano è evaporato di suo, senza combattere), anche perché come il suo rivale ucraino ha problemi di ricambio delle truppe. Infatti, Mosca ha preferito chiedere alla Corea del Nord decine di migliaia di uomini da sacrificare al fronte, non potendo né volendo ricorrere alla coscrizione obbligatoria dei suoi cittadini, fatto che necessariamente avrebbe alienato a Putin il consenso della borghesia urbana delle grandi città: cosa che il regime non può assolutamente permettersi se vuole sopravvivere.
Ora, resta da vedere se al-Jolani lascerà che il maggiore alleato sciita, la Russia, conservi le sue basi navali nel Mediterraneo (concesse da Assad al suo salvatore d’Oltrecortina), o ne richieda la restituzione. Altro aspetto molto interessante, trattandosi di sunniti islamisti, è capire se questi ultimi potranno mai essere “pluralisti” e tolleranti soprattutto con le loro minoranze religiose. Ma, a quanto pare, al-Jolani ha scoperto la carta vincente che nel linguaggio dei credenti in Allah si chiama “protezione” (e qui, forse, sta il primo aspetto positivo del nuovo regime), al fine di rigenerare il califfato storico cosmopolita, in cui convivano etnie e religioni in modo integrato, pagando le minoranze la loro decima al governo musulmano per la propria protezione.
Il secondo fattore positivo potenziale sono i milioni di profughi siriani fuggiti e ospitati in Occidente per sottrarsi alla furia del regime siriano di Assad. Molti di costoro, infatti, vorranno di sicuro tornare o, vi saranno costretti, visto che i Paesi ospiti, a giusto titolo, ritengono finita l’emergenza che ha generato il loro diritto all’asilo. Tutti costoro, non possono essere delusi e scoraggiati con una politica del ritorno del terrore islamico. Soprattutto, stavolta l’Occidente non ha preso parte al conflitto interno e il vero nemico è l’Iran sciita e i suoi accoliti. Da questo punto di vista, al-Jolani rappresenta un alleato potenziale di Israele! Alleanza di necessità, quest’ultima, visto lo strapotere tecnologico di Tel Aviv, che ha colpito tutte le linee siriane di rifornimento di armi verso il Libano.
Ma parrebbe che anche agli ayatollah convenga risparmiare sulle forniture militari ai suoi proxy, anche perché si è esaurita la solidarietà collusiva della popolazione civile, libanese e gazawi, che ha consentito a Hezbollah (come ad Hamas) di utilizzare abitazioni e insediamenti pubblici (scuole e ospedali) per ospitare nei tunnel sotterranei decine di migliaia di missili e tonnellate di munizioni. E i risultati si sono visti quando l’aviazione israeliana ha colpito gli obiettivi con precisione millimetrica, radendo al solo interi isolati a causa delle esplosioni secondarie, che hanno causato, come a Gaza, migliaia di vittime “collaterali”. Ora, con quale coraggio si oserà di nuovo riproporre a Beirut come a Gaza la retorica dei partiti di Dio che umiliano e sconfiggono gli infedeli, quando è accaduto esattamente il contrario e i risultati sono sotto gli occhi di tutti? È stata sufficiente la determinazione di un solo Paese, Israele, per spezzare l'accerchiamento della guerriglia sciita e di Hamas, mettendo così termine a tutti i giochi di potenza iraniani della regione (con grande gioia dei regimi arabi).
Le carte ora sono mischiate e, con ogni probabilità, sarà l’America di Donald Trump a ridistribuirle. Molti pensano (facendo peccato veniale) che dietro la guerra-lampo dell’Hts ci sia la Cia, che però dovrebbe aver imparato dalla storia che armare il nemico del mio nemico molto spesso non è un buon affare (vedi Afghanistan). Né tanto meno lo è puntellare dittatori spietati invisi al loro popolo (vedi Sud America e Narcos). Storia maestra di vita. Ancora una volta.
Aggiornato il 13 dicembre 2024 alle ore 09:40