Una motosega sotto l’albero di Natale

Putin perde la Siria. Stellantis di Natale. La donna soprannominata “la tredici”. Niente è perduto fuorché l’onore. Viva Milei!

Il direttore de Il Foglio, Claudio Cerasa, scrive che la liberazione di Damasco, veloce come la fibra ottica, mette a nudo la nudità degli odiatori occidentali dell’Occidente, i quali ora non sanno che pesci pigliare, dal momento che tra i “liberatori” (vedremo poi) non ci sono né americaniisraeliani, eccetera. In pratica, al momento, non c’è nessuno da odiare.

Quindi cosa fanno? Meglio dire: “che cosa non fanno”. Non fanno la solita canea su ogni pagina di giornale e su ogni discussione nei talk show. Niente post di fuoco sui social. Niente. Il Papa è in altri gesuitismi affaccendato (e non è andato a Parigi per la riapertura di Notre Dame). L’Unità parla di politica italiana e basta. Il Manifesto mette poche parole nella discussione siriana. Elly Schlein si tace perché impegnata in telefonate mute con Nicola Fratoianni e conversazioni mute con Andrea Orlando. Il Movimento 5 stelle agogna alla gloria e sbandiera ciò che sarà ma non è più, perché fu. La Repubblica discetta, ma non quaglia nulla. I rubagalline pro Vladimir Putin non putano (latinismo) niente. I deputati pensano ai regali di Natale. I lavoratori fanno i conti che faranno sparire la tredicesima.

Mia suocera mi ha detto di una vecchia matrona del Paese che veniva soprannominata “la tredici, perché ebbe 13 figli. Invece Carlos Tavares nella liquidazione troverà incluse anche tredici tredicesime? Tanto poi i fondi dello Stato saranno la stella di Natale per Stellantis. Siamo italiani: nell’infinita guerra tra bianchi e neri il risultato è un velo grigio. Non capiamo come va il mondo, perché non usiamo più la coscienza intelligente ma l’esatto contrario: ci bastano le parole e le idee che ci vengono spedite da destra e manca, tanto ai regali ci pensa mamma. E la famiglia va. In vacanza sulla neve. Ciò che manca oggi non ci mancherà domani, e niente è perduto fuorché l’onore. Ebbene, dirà qualcuno, niente buone notizie, a parte la sconfitta russo-iraniana in Siria, mentre siamo quasi a Natale?

Proverò allora a fornire una letizia, parlando del lavoro svolto dal presidente argentino Javier Milei nel suo primo anno di incarico. L’Argentina, al momento delle elezioni era per l’ennesima volta una Nazione fallita, dopo politiche economiche deliranti, imposte dal peronismo, quel mix fascio-socialista condito dalla teologia della liberazione, sempre vivo in Sudamerica. Il peronismo ha stroncato una Nazione che a inizi Novecento era ancora una delle più ricche al mondo, come ha ricordato Alvaro Vargas Llosa ne Il mito Che Guevara e il futuro della libertà (Lindau, 2007). Di fronte al disastro gli argentini hanno votato per un presidente liberal-liberista autentico, non a caso odiato a prescindere dalla solita canea della stampa occidentale più o meno peronista e populista. Di previsioni sballate è pieno il cofano dei veggenti antiliberali che fanno parte della setta degli adoratori dello Stato come sostituto del Monarca assoluto. Per i veggenti, il Regno Unito doveva crollare con la Brexit. Eppure oggi a Londra non si vive e lavora peggio che a Berlino, sembra. Un anno fa profetizzarono il fallimento dell’Argentina per mano di Milei. Lo stesso che poi si sarebbe esibito in una serie di apocalissi; privare di cibo e libertà gli argentini; picchiare i ragazzini e distruggere l’ambiente; rubare i risparmi dei cittadini per darli ai demoni yankees e israeliani. Invece, come giorni fa ha ricordato Federico Rampini, persino l’Economist che pure si scagliò a più riprese contro il mini liberale Silvio Berlusconi, lo ha promosso. Su S.B. va detto che aveva contro il poterepopolare”, pur avendo i voti popolari e di parte dell’industria. Ovvero: aveva contro i media, uno Stato – divenuto sociopatico più che sociale – e la magistratura. Quindi aveva le mani legate, e poca dimestichezza liberale.

Milei è diverso, ha studiato bene e ha buoni referenti, che non risiedono nella bismarckiana Ue ma negli Usa, dove lo Stato finora non è un monarca. Un anno fa The Economist aveva lanciato pomodori verbali contro Javier Milei e il suo fare da dandy estremo. Però essendo un quotidiano economico di una Nazione anglosassone, l’Economist ragiona sui risultati, non in base a convenienze personali, aziendali o di partito. Ebbene, la mannaia di Milei, invece di massacri giacobini, ha prodotto risultati positivi. In Italia la spesa pubblica serve soprattutto a glorificare le dazioni di partito, ma l’euro ci ha almeno salvato dalla svalutazione e dal default della valuta nazionale, in Argentina invece si è generata l’iperinflazione (malattia endemica in tutta l’America del Sud). Per non parlare della fuga dei capitali all’estero.

Milei un anno fa aveva detto la verità: Saranno lacrime e sangue per ripulire le cloache dell’economia. Ha quindi tagliato del 33 per cento la spesa pubblica; ha ridotto Ministeri e gli Enti statali e parastatali. In un anno ha raggiunto l’attivo di bilancio, prendendo a calci l’iperburocrazia e liberalizzando il mercato interno. Il risultato è che l’inflazione è crollata dal 13 per cento mensile al 3 per cento mensile. È forse per questo che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto per Milei la stessa folgorazione avuta per Elon Musk. Ma in Italia eradicare burocrazia e sottopotere peronista è tanto difficile quanto liberalizzare il mercato. Qualcosa si potrà fare ma, con la canea continua di giornalisti allineati, politici statolatrici e monarchici inconsapevoli, sarà difficile raggiungere risultati favolosi, come la riduzione del debito pubblico, palla al piede di tutti noi.

E voi credete alla “Banda dei disonesti”, quelli che falsificano la parola liberalismo, dicendo che l’Italia è liberal-liberista quando si vuole evidenziare qualcosa che va male. Mentre invece in Italia il liberalismo è stato forte solo negli anni del boom economico, quando il cattosocialismo democristiano era moderato dai partiti laico-liberali e dal presidente Luigi Einaudi. Poi anche qui sono arrivate le Evita e i Peròn, e anche qui si è ballato il tango (con molti casqué). È ovvio che non si debba mettere il carro dell’ideologia davanti ai buoi dell’economia. Ci vuole pazienza prima di celebrare la salvezza dell’Argentina, dove sono ancora vivi gli eunuchi del re Peròn: sindacalismo selvaggio e corporativo, clientelismo, burocrati.

Certo è che oggi parliamo di miglioramento dei conti invece che di default di una Nazione grande e importante. Chissà se anche altri leader – occidentali e non – vorranno seguire Javier Milei. Nelle repubbliche baltiche, dopo la liberazione del giogo sovietico, lo hanno fatto: il Pil è in crescita costante e ampia.

Aggiornato il 11 dicembre 2024 alle ore 10:05