Attimi di paura per Kim Yong-hyun. L’ex ministro della Difesa sudcoreano, è finito ufficialmente in arresto martedì, pochi giorni dopo aver rassegnato le dimissioni. Una vicenda che di per se ha già fatto parecchio rumore, visto che le accuse contro di lui non sono leggere: avrebbe avuto un ruolo di primo piano nell’attuazione della legge marziale, proclamata il 3 dicembre dal presidente Yoon Suk-yeol e poi rapidamente ritirata a seguito delle proteste. L’arresto è arrivato in un momento di evidente fragilità personale per Kim. Secondo Shin Yong-hae, commissario generale del Korea correctional service, l’ex ministro ha vissuto una forte crisi emotiva durante la detenzione nel centro di Seoul Dongbu, arrivando a tentare di togliersi la vita. “Il personale ha agito prontamente per intervenire, e ora Kim è sotto sorveglianza speciale”, ha spiegato Shin. Le autorità hanno rassicurato sulle sue condizioni: “Gli esami medici non hanno riscontrato problemi, e attualmente conduce una vita normale nella struttura”, ha precisato il Ministero della Giustizia.
Le accuse mosse contro Kim parlano di “funzioni critiche durante un’insurrezione” e “abuso di autorità per ostacolare l’esercizio dei diritti”. In pratica, avrebbe orchestrato l’impiego delle forze armate, soldati ed elicotteri compresi, per mantenere il controllo sul Parlamento nel periodo di legge marziale. Una mossa che ha scatenato reazioni dure, tanto dall’opinione pubblica quanto dai suoi colleghi politici. Prima di essere arrestato, Kim aveva diffuso una dichiarazione tramite i suoi avvocati, assumendosi ogni responsabilità. “Tutta la responsabilità di questa situazione ricade esclusivamente su di me”, ha affermato. Parole nette, accompagnate da scuse al popolo sudcoreano. Ha inoltre voluto sottolineare che i suoi subordinati hanno agito unicamente eseguendo i suoi ordini, senza alcuna colpa personale.
LA POLIZIA PERQUISISCE L’UFFICIO DI YOON
Anche le forze dell’ordine hanno iniziato a fare le loro indagini. La polizia sudcoreana ha messo sotto la lente l’ufficio presidenziale, segnando un nuovo capitolo nella crisi politica che ha scosso il Paese. Gli agenti dell’unità investigativa speciale hanno perquisito anche l’Agenzia di polizia nazionale, quella Metropolitana di Seoul e il Servizio di sicurezza dell’Assemblea nazionale, nel quadro dell’indagine sul tentativo fallito di legge marziale voluto dal presidente Yoon Suk-yeol. Yoon, già bloccato da un divieto di espatrio, è indagato per “insurrezione” insieme alla sua cerchia più stretta.
Aggiornato il 11 dicembre 2024 alle ore 14:08