La caduta di Damasco è un duro colpo per Mosca e Teheran

La caduta di Bashar al-Assad apre nuove prospettive ma crea anche inquietudini sulla stabilità dell’area medio-orientale. Mosca ha, senza dubbio, sofferto una grande umiliazione in Siria. Il patto con Damasco le aveva permesso di rientrare con forza in Medio Oriente aprendo basi, diventando un alleato insostituibile del regime di Assad. Difficile prevedere cosa penseranno i nuovi amici della Russia in altre aree – come ad esempio nel Sahel – dell’incapacità di salvare il dittatore da parte del Cremlino. La caduta di Damasco ad opera dei ribelli siriani, guidati da Hayat Tahrir al-Sham (Hts), riflette una probabile perdita catastrofica del significativo investimento della Russia nel regime di Assad e del punto d’appoggio della Russia nel Mediterraneo.

Il crollo del regime rappresenta una contrazione della capacità della Russia di esercitare la propria influenza nella regione, e quindi della sua pretesa di essere una grande potenza. Mosca potrebbe ora trovarsi a perdere una base navale in acque calde e una base aerea. Il danno alla capacità del Cremlino di manovrare in Africa e nel Mediterraneo potrebbe avere un impatto strategico sull’influenza russa in tutto il mondo. Secondo alcuni osservatori Mosca, per mantenere una presenza stabile nel Mediterraneo, potrebbe puntare su Bengasi, in Libia. I contatti con il generale Khalifa Belqasim Haftar vanno avanti da mesi e qui sono già presenti gli ex mercenari della Wagner. Di contro, va considerato che la caduta del regime filo-russo di Assad non porterà alla sua sostituzione con un regime filo-occidentale, tutt’altro. È probabile che anche i buoni rapporti in corso del presidente russo Vladimir Putin con altri governi arabi, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar ed Egitto, rimangano forti.

La vera domanda ora è se la Russia sarà in grado di mantenere la sua base navale e aerea in Siria. Le forze anti-Assad che hanno appena prevalso potrebbero non essere inclini a farle restare, soprattutto perché gli aerei da guerra russi di stanza in Siria le avevano ripetutamente bombardate fino a poco tempo fa. La caduta di Assad sconvolge completamente anche l’influenza dell’Iran e di Hezbollah legati a doppio filo con il regime di Assad. Nel giro di poche settimane, l’Iran ha perso i suoi pilastri del cosiddetto “asse della resistenza”. Dopo il duro colpo che Hezbollah ha subito per mano di Israele, la caduta di Assad è un colpo fatale agli sforzi di influenza dell’Iran in Medio Oriente. C’è ovviamente una connessione tra i due, poiché è chiaro che la debolezza di Hezbollah e in particolare l’eliminazione del suo leader Hassan Nasrallah, che si era impegnato personalmente a salvare Assad, hanno accelerato il rovesciamento del regime siriano.

È difficile sottovalutare l’importanza del regime di Assad per l'Iran. Senza di lui, la capacità dell’Iran di ricostruire il potere di Hezbollah si è indebolita drasticamente, così come la sua capacità di minacciare Israele da questa arena. Ma soprattutto, la Siria ha consentito la stessa continuità territoriale dall’Iran al Libano che ha stabilito la “mezzaluna sciita” e ha dato all'Iran una profondità strategica senza precedenti, mantenendo le guerre lontane dai suoi confini. Ma il crollo del regime dimostra quanto gli strumenti nelle mani dell’Iran per salvare Assad senza Hezbollah fossero quasi inesistenti. Questo fatto indica anche la debolezza dell’Iran e la sua limitata capacità di influenzare ciò che accade in Medio Oriente senza il suo proxy. Ora l’Iran dovrà calcolare un nuovo corso e trovare una soluzione che rafforzerà la sua capacità di scoraggiare Israele e gli Stati Uniti da solo, senza alcun reale supporto dei suoi proxy.

L’Iran cercherà probabilmente ora di rafforzare le sue capacità convenzionali, tra cui accelerare il suo accordo con la Russia sui Su-35, ricostruire il suo sistema di difesa aerea e sostituire i suoi missili danneggiati nell’attacco israeliano. Ma Teheran probabilmente penserà anche se aggiornare la sua strategia nucleare, sia per avanzare verso una bomba nucleare o per sottoporre compromessi più significativi all’Occidente nella speranza di raggiungere un accordo che ridurrà il pericolo di un attacco esterno all’Iran. E quindi, gli eventi in Siria impongono di concentrarsi anche su ciò che sta accadendo nel circolo decisionale di Teheran. Gli Stati Uniti dovrebbero usare questa opportunità per coordinare una politica regionale più ferma nei confronti delle attività maligne dell’Iran. Inoltre, un vuoto di potere in Siria potrebbe portare a instabilità regionale e rischiare che la Siria diventi un campo di competizione per l’egemonia, creando potenzialmente più caos e rafforzando i gruppi estremisti se non opportunamente gestiti.

Una Siria stabile, post-Assad, potrebbe catalizzare la pace e la cooperazione tra gli Stati confinanti, ma ciò richiede un serio impegno diplomatico nella regione. A tal fine, gli Stati Uniti dovrebbero impegnarsi nella diplomazia multilaterale con la Turchia e il Qatar e mediare le risposte con gli attori regionali chiave, tra cui l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, Israele e la Giordania, per garantire un approccio coordinato alla stabilizzazione della Siria. Incoraggiare il dialogo tra Stati avversari potrebbe anche aiutare a ridurre le tensioni e promuovere accordi di sicurezza cooperativi. L’'ttuale alternativa politica ad Assad è ben lungi dall'essere ideale, poiché l’opposizione rimane frammentata. Il leader ribelle Abu Mohammad al-Jolani ha un passato discutibile legato al terrorismo internazionale e le fazioni ribelli hanno varie alleanze con le potenze regionali, in particolare la Turchia.

Arrestato nel 2006 e trattenuto per cinque anni, al-Jolani diede vita alla colonna siriana di al-Qaeda, il Fronte al-Nusra, che accresce la sua influenza nelle aree controllate dall’opposizione, in particolare Idlib. Al-Jolani, in quegli anni, era in contatto con Abu Bakr al-Baghdadi, capo dello “Stato islamico in Iraq” di al-Qaeda, che in seguito diventa Isil (Isis). In un’intervista televisiva rilasciata nel 2014, affermava che la Siria avrebbe dovuto essere governata secondo la legge islamica e che le minoranze del Paese – cristiani e alawiti – non sarebbero state accolte.

Oggi, mentre viene intervistato dalla Cnn, indossa una divisa militare e, con aria calma, parla ai suoi dicendo di festeggiare con moderazione. Nessuna violenza contro la popolazione. Tono da leader dialogante, ben diverso da quello che usava nel 2014. “Negli anni si cambia”, ha detto nel corso dell’intervista. Niente al-Qaeda; oggi l’obiettivo – dopo aver cacciato Assad – è creare autorità inclusive. Vedremo se sarà davvero così o se, come già accaduto in Afghanistan con i talebani, le promesse saranno clamorosamente smentite dai fatti.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 10 dicembre 2024 alle ore 10:04