A Parigi si riaprono oggi i giochi per la formazione del nuovo Governo, con Emmanuel Macron impegnato in una delicata serie di incontri con i leader di partito. Sul tavolo, la scelta del prossimo primo ministro, un ruolo chiave che, in un clima politico così teso, rischia di trasformarsi in una vera partita a scacchi. Anche se la soluzione potrebbe essere più semplice di così. Il nome in pole position resta quello di François Bayrou, centrista del MoDem e storico alleato del presidente. Tuttavia, la sinistra alza le barricate, con accuse di continuità politica e richieste di maggiore rappresentatività. Dalla leader dei Verdi, Marine Tondelier, ai socialisti, l’opposizione a Bayrou è netta. Intervenendo su Rtl, Tondelier ha sparato a zero: “Bayrou non ha vinto le elezioni. Se vogliamo rispettare la volontà degli elettori, allora meglio scegliere chi ha davvero trionfato”. La frecciata è rivolta al Nuovo fronte popolare, la coalizione di sinistra – Verdi, Socialisti, Comunisti e France Insoumise – che ha vinto (ma non chiaramente con la maggioranza assoluta) le elezioni legislative di luglio, pur senza raggiungere la maggioranza assoluta.
Le posizioni della sinistra sono compatte. Boris Vallaud, figura di spicco del Partito socialista, non usa giri di parole: “Se il premier non sarà di sinistra, noi non entreremo in questo Governo”. Un’apertura arriva invece da Raphaël Glucksmann, che su France 2 ha parlato della possibilità di un premier indipendente, proveniente dalla società civile. L’ex leader sindacale Laurent Berger è tra i nomi che circolano. “Serve una personalità compatibile con la sinistra, capace di parlare a tutti, comunisti ed ecologisti compresi”, ha aggiunto Glucksmann, tracciando un possibile percorso per un’intesa.
Invece Jean-Luc Mélenchon, leader della France insoumise, ha scelto ancora una volta la linea dura. Per lui, il destino politico di Macron è segnato: “Dove troverà 289 deputati per far passare la Legge di bilancio? È solo questione di tempo”. Mélenchon non risparmia paragoni storici pesanti, citando il ritiro di Charles de Gaulle per mancanza di sostegno popolare. Nel mirino dell’ex ministro c’è anche la politica internazionale. Mélenchon attacca Emmanuel Macron per il suo rapporto con gli Stati Uniti e con il presidente eletto: “Donald Trump ci vuole sottomettere, e ci sta riuscendo. Ha chiesto a 35 Paesi di aumentare la spesa militare al 2 per cento del Pil, e 29 lo hanno già fatto. Siamo complici della sua strategia”.
A complicare ulteriormente il quadro c’è l’incognita Marine Le Pen. La leader del Rassemblement National rischia di essere esclusa dalle Presidenziali del 2027 per una condanna che potrebbe arrivare nei prossimi mesi. Mélenchon si è schierato, per la seconda volta in poco tempo dopo la mozione di sfiducia contro Michel Barnier, a fianco di Le Pen, definendo questa ipotesi un attacco alla democrazia: “Non è accettabile che una sentenza venga applicata prima dell’appello. Questo è un chiaro tentativo di eliminare un’avversaria politica”. Nel complesso, il panorama politico francese sembra proprio sul punto di implodere. Mélenchon ha ricordato come la Francia abbia sempre attraversato cambiamenti istituzionali con una certa dose di caos: “Non esiste un solo esempio nella nostra storia di una transizione calma. Quattro monarchie, due imperi, cinque repubbliche. È così che funzioniamo”, ha chiosato il leader della France insumise.
Aggiornato il 09 dicembre 2024 alle ore 17:18