Michel Barnier: chi era costui? La vittima predestinata, come si era già detto, di un’esecuzione parlamentare in cui l’odio anti-macroniano delle ali estreme della politica francese si è saldato su di lui ghigliottinandolo. Tutti sapevano che quella fine sarebbe arrivata, puntuale come l’impiccagione dei dissidenti a Teheran, eppure nessuno ha potuto evitarla. Oggi, non avendo approvato il bilancio 2025, la Francia sta vivendo una situazione senza precedenti dal 1958 (data della fine della IV Repubblica) ed è letteralmente sull’orlo della bancarotta, dovendo vedersela con 3.300 miliardi di debito pubblico, pari al 113 per cento del suo Pil, e con un deficit annuale tra entrate e uscite che, superando il 6,2 per cento, è del tutto fuori dei parametri del nuovo Fiscal compact di Bruxelles.
La mozione di sfiducia a Barnier ha ricevuto 331 voti (su 577 aventi diritto), andando ben oltre la maggioranza assoluta dei votanti, richiesta per le dimissioni del (precario) premier in carica, insediatosi solo da tre mesi dopo un lunghissimo travaglio, seguito alla disfatta dei macroniani che hanno perduto la loro precedente maggioranza centrista in Parlamento. Dal genio della lampada dell’Eliseo, infatti, è prima scaturito un colpo a effetto per sbaragliare Marine Le Pen, grande vincitrice al primo turno che, però, è stata messa in minoranza al secondo, grazie agli accordi di desistenza tra sinistre e centrodestra, nel timore di un’irresistibile avanzata della marea nera. Morale?
Ha vinto un fronte vasto di antilepenisti – appunto, il Nuovo fronte popolare (Nfp) – che, essendo dominato dal Partito ultracomunista della France insoumise (Fi) di Jean-Luc Mélenchon, non ha ottenuto soddisfazione da Macron per la nomina di un primo ministro gradito allo schieramento vittorioso alle elezioni di giugno scorso. Per di più, dai numeri si è immediatamente capito che nessuna riforma urgente (pensioni, riduzione della spesa pubblica, aumento delle tasse sull’intera platea dei contribuenti, e così via) poteva assolutamente avere luogo, senza un assai improbabile accordo preventivo con il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen, obiettivamente alleata di Mélenchon per allargare pericolosamente i cordoni della spesa assistenziale. Macron aveva momentaneamente rimediato al disastro di alchimista improvvisato, chiedendo al suo ex nemico Michel Barnier di immolarsi per il bene della Francia, e oggi deve assistere alla rovinosa caduta del suo primo ministro puntualmente travolto dalle macerie del regime, mettendo addirittura in crisi le istituzioni della V Repubblica gaullista. Ora, poiché la Costituzione francese impedisce di convocare nuove elezioni prima che sia trascorso un anno dalla celebrazione delle precedenti, non sarà possibile per Macron tentare la strada di un nuovo scioglimento anticipato del Parlamento. Colpito e affondato nella sua Grandeur, praticamente.
Ed è proprio la presidente del Rn a voler chiudere quanto prima possibile la partita antidestra aperta da Emmanuel Macron, silurando sistematicamente (con la complicità della sinistra socialcomunista) tutti i governi di minoranza dell’Eliseo, nella speranza di provocare le dimissioni anticipate dello stesso Macron. Questo perché Le Pen non può attendere i tempi di conclusione di un procedimento giudiziario che la riguarda, in cui deve rispondere di illeciti su finanziamenti riguardanti la sua campagna elettorale del 2022. Nel caso di un’eventuale sua condanna, infatti, potrebbe perdere i requisiti di eleggibilità e, quindi, veder tramontare la speranza di un suo successo alle prossime elezioni presidenziali francesi, previste per il 2027. Ora, va detto che qualsiasi altro governo “tecnico” (all’italiana) inventato da Macron dovrebbe ricercare ogni forma di compromesso con le opposizioni (che, però, perseguono la politica demagogica di aumentare di centinaia di miliardi la spesa pubblica), per evitare di andare all’esercizio provvisorio, con la semiparalisi conseguente del servizio pubblico.
Fatti i debiti conti, la crisi francese ha fatto registrare un vero e proprio shock fiscale su redditi medio-alti e sulle imprese, senza un’analoga diminuzione della spesa pubblica che Barnier avrebbe voluto fissare non oltre la soglia del 5 per cento del Pil. Il tutto, sommato alla feroce opposizione bipartisan favorevole a riportare a 62 l’età pensionabile, abolendo la soglia dei 43 anni di contribuzione per ottenere il trattamento pensionistico pieno, cosa che appesantirebbe di oltre 20 miliardi annui la spesa previdenziale francese.
Risultato? Sono aumentati i fallimenti aziendali, e si assiste alla fuga dei capitali esteri, al blocco degli investimenti e alla risalita della disoccupazione. Cosicché oggi la Francia è costretta a emettere titoli del debito pubblico a un tasso superiore a quello di Spagna, Grecia e Portogallo, in presenza di una profonda crisi politico-economica e produttiva della prima economia europea, come quella della Germania. Per di più, lo spread dei Btp francesi con i Bund tedeschi è il più alto di sempre, proprio al momento in cui la Francia è costretta a emettere 315 miliardi di nuovi titoli del debito pubblico, con un aggravio di almeno 55 miliardi per il pagamento degli interessi. E tutto ciò avviene nel momento peggiore per l’Europa, con l’imminente cambio della guardia alla Casa Bianca, e con un Donald Trump che ha nei punti forti del suo programma la netta riduzione del costo dell’energia (fossile), delle tasse e della regolazione: tutti fattori questi ultimi intesi a rinforzare decisamente la competitività degli Stati Uniti rispetto al resto del mondo.
Insomma, il comportamento vaniloquente di Macron fa oggi rischiare alla Francia il default e l’arrivo della triade (Commissione Ue, Fmi e Bce), qualora non si realizzino le indispensabili riforme istituzionali, senza pertanto cedere alle tentazioni autoritarie per imporne il rispetto. Un vero massacro per i galli francesi! Servirà l’appello televisivo di Macron per un governo di salute pubblica, in modo da approvare una legge speciale, evitando così l’esercizio provvisorio di bilancio e il rischio di default della Nazione? Per ora, il Presidente si è limitato a dare la colpa a tutti ma non a lui stesso (qui il discorso alla Nazione), invocando l’orgoglio della Francia per superare i tempi difficili che si preparano per il Paese, per l’Europa e per il mondo intero.
Aggiornato il 09 dicembre 2024 alle ore 09:36