La Siria è stata la “terza colonna” del Medio e vicino oriente, che le articolate “strategie corporative internazionali” non sono riuscite ad abbattere. Dopo i due pilastri, Iraq di Saddam Hussein (2003) e Libia di Mouammar Gheddafi (2011), schiacciati “dall’impronta occidentale” al fine di “resettare” su parametri diversi l’area, mancava Damasco. Ma la Russia di Vladimir Putin e in modo minore l’Iran, non hanno permesso il completo collasso di questa strategica area geografica. Tuttavia il 2011, data della mortifera “primavera araba”, ha dato al buio spazio per allungarsi sul Medio Oriente nel suo complesso, creando croniche aree di instabilità alcune delle quali in piena deflagrazione. In Siria nel 2011 la guerra civile provocò oltre 500mila morti e milioni di sfollati. Il regime siriano riprese il controllo di gran parte del Paese nel 2015, sostenuto dai suoi alleati russi e iraniani. Il suo esercito supportato dall’aeronautica russa, ha riconquistato nel 2016 la parte orientale di Aleppo dopo devastanti bombardamenti.
Così anche Egitto, Tunisia, Libia hanno lottato per rovesciare regimi antidemocratici, che in alcuni casi sono stati esautorati, ma ad oggi, come una “rotazione politica”, tali tipologie di governo sono ritornate, “regolarmente”, al potere perché in certi contesti sociali, non solo arabo-africani, se si cerca un minimo di stabilità, anche per esigenze internazionali, non ci sono alternative all’autoritarismo.
Comunque la tendenzialmente laica Siria ha dovuto affrontare continue ribellioni, dividendosi essenzialmente tra le forze del presidente Bachar Al-Assad, la cui famiglia è al potere dagli anni Settanta, e i gruppi ribelli formati anche da soldati di Damasco che hanno disertarono e costituito l’Esa, Esercito siriano libero, diventato il catalizzatore principale dei ribelli anti regime. Successivamente l’opposizione ad Al-Assad è cresciuta occupando vaste aree del Paese. Se inizialmente la divisione era politica – ricordo che i siriani generalmente sono musulmani sciiti, anche se esiste una radicata comunità cristiana, ma la classe dominate è alawita, gruppo religioso con peculiarità uniche, poi la spaccatura ha assunto la fisionomia etnica e religiosa o meglio confessionale. Le milizie ribelli sono così formate da queste minoranze, come i curdi, gruppi islamici radicali sunniti, compresi i jihadisti sunniti appartenenti allo Stato islamico, Isis. Fu solo l’ascesa dell’Isis, nel 2014, a convincere le potenze straniere ad intervenire nel conflitto. Lo Stato islamico nel 2019 è stato sconfitto in Siria e il regime di Bashar Al-Assad ha ripreso circa l’80 per cento del territorio. L’opposizione è rimasta così asserragliata nella provincia nord-occidentale del Paese, dove la linea di fronte è rimasta congelata. Comunque dopo 13 anni dall’inizio degli scontri la guerra è impantanata in una destabilizzazione solo marginalmente controllata. Ad oggi si stima che la guerra ha causato quasi mezzo milione di morti.
Questo congelamento dei fronti ha favorito una stabilizzazione dei gruppi jihadisti, che in questi giorni hanno ripreso il controllo di gran parte della provincia di Aleppo – probabilmente sguarnita dalla protezione dell’esercito nazionale perché dispiegato verso il confine libanese. Qui, dal 29 novembre, le strade principali sono presidiate dalle milizie jihadiste del gruppo Hayat tahrir al-sham, Hts, ex ramo siriano di Al-Qaeda. In pratica risulta che i jihadisti dell’Hts insieme ai vari alleati, alcuni filoturchi, eccellentemente, ma non sorprendentemente, addestrati ed equipaggiati, venerdì 29 sono penetrati ad Aleppo dopo due attentati suicidi con autobombe, e gradualmente hanno conquistato quartiere per quartiere. Per risposta l’esercito siriano ha inviato rinforzi nella capitale del nord. Fonti governative hanno assicurato di aver respinto l’offensiva terroristica e di aver riconquistato diverse posizioni, ma in realtà le notizie dal campo di battaglia sono diverse.
L’Osdh, Osservatorio siriano per i diritti umani, domenica ha riferito che questo gruppo jihadista ha preso il controllo di Aleppo, occupando edifici governativi, prigioni e punti strategici. I miliziani estremisti islamici entrati nella seconda città della Siria, hanno scritto la parola “fine” ad anni di relativa calma nel nord-ovest del Paese. L’Ong Osdh, che ha la sede a Londra e possiede una capillare rete di informatori in Siria, ha ulteriormente sottolineato che l’esercito regolare siriano nell’ultima fase dell’attacco dei ribelli, si è ritirato senza combattere.
Nella provincia di Aleppo, che era per circa l’80 per cento controllata dal Governo, solo la confinante zona di Idlib era rimasta come ultima grande roccaforte dei jihadisti e dei ribelli. Al momento i miliziani hanno anche preso il controllo della città strategica di Saraqeb, che si trova a sud della capitale del nord, all’incrocio di due autostrade che collegano Damasco ad Aleppo e Latakia. Tali combattimenti, che risultano i più cruenti dal 2020, secondo un primo bilancio, hanno causato quasi 400 morti.
Ma tra video trasmessi dai jihadisti da Aleppo da dove esaltano la conquista fatta, gli annunci dei muezzin che esortano la popolazione a restare in casa e non affacciarsi alle finestre, le immagini degli studenti universitari di Aleppo che disorientati e sicuramente angosciati davanti al loro ateneo, quello che è certo è che i siriani sono terrorizzati dall’oscurantistica visone della società espressa dai jihadisti, che hanno promesso di applicare immediatamente la sharia. Anzi, risulta che nelle zone occupate sia già attuata.
Comunque, l’esercito russo da venerdì sta bombardando gruppi estremisti in Siria, a sostegno delle forze del regime. È la prima volta dal 2016, che Aleppo e Idlib vengono bombardate dai caccia russi. Il Cremlino ha esortato il Governo siriano a riportare l’ordine il più rapidamente possibile ad Aleppo. Anche l’Iran sciita, già impegnato militarmente per sostenere il presidente al-Assad durante la guerra civile, ha assicurato il suo continuo sostegno alla Siria, suo solido alleato. Ma questa offensiva jihadista come si colloca nel quadro della guerra tra Israele e Hamas-Hezbollah e Russia-Ucraina? Brevemente, la Siria fornisce le basi per la costruzione e la spedizione di armi sia ad Hezbollah che ad Hamas; basi che vengono controllate e spesso gestite dall’Iran. Recentemente queste basi strategiche sono state bombardate dall’aviazione israeliana e anche sabotate dalle truppe di Tel Aviv. in alcuni casi questi attacchi in Siria hanno causato la morte di agenti iraniani lì presenti.
La Russia è storicamente alleata e protettore della Siria, e Teheran fornisce droni da combattimento a Mosca per la guerra contro l’Ucraina, in un collaborazionismo soft. Poi, la questione della Turchia che tende ad estendere il suo potere in Siria, ma combatte contro i gruppi curdi che ambiscono ad una loro legittima terra, che ricordo è divisa tra Turchia, Siria, Iraq ed Iran. Ma allo stesso tempo i Curdi sono tra i ribelli che stanno combattendo contro il regime siriano a fianco dei miliziani filoturchi.
Sicuramente il ritorno, momentaneo, dell’Isis in Siria non varierà i disequilibri già in atto, ma per le strategie in ballo e soprattutto per gli obiettivi sia di Israele che della Russia nei rispettivi, ma collegati, scenari di conflitto, questo nuovo attore difficilmente potrà essere tollerato nel già affollato palcoscenico internazionale. Anche se alcuni ucraini gioiscono, ottusamente, per il nuovo impegno russo.
Aggiornato il 02 dicembre 2024 alle ore 12:17