Il bivio di Starmer

Il premier inglese Keir Starmer, già incredibilmente indebolito dopo appena pochi mesi dalla vittoria elettorale che lo ha catapultato a Downing Street, ha un’altra gatta da pelare. Come se non bastassero gli scandali per le spese pazze personali effettuate con i fondi elettorali del Labour party e le proteste popolari seguite all’annuncio di una manovra economica lacrime e sangue che hanno fatto precipitare la sua popolarità di oltre 30 punti in poco più di 100 giorni di governo, adesso il primo ministro si trova a dover ragionare seriamente sulle future alleanze del Regno Unito a livello internazionale. Ovviamente il motivo di questo nuovo grattacapo è sempre lui: Donald Trump. Starmer non è certo l’unico leader di sinistra a dover fare i conti con il futuro che attende l’America e il mondo con il ritorno del tycoon alla Casa Bianca, ma per il capo del governo di Sua Maestà ci sono motivi di agitazione ancora maggiore, essendo storicamente gli Stati Uniti i migliori amici e alleati della Gran Bretagna.

Non solo, appena pochi giorni dopo aver ricevuto l’incarico da Re Carlo III il neopremier britannico aveva palesato pubblicamente un progetto molto ambizioso: superare in qualche modo la Brexit, quanto meno dal punto di vista commerciale, e riavvicinarsi all’Unione europea. Segnali in tal senso ci sono già stati. Non più di una decina di giorni fa, infatti, il premier inglese si è recato a Parigi per celebrare insieme al presidente francese Emmanuel Macron l’anniversario dell’Armistizio ed è stato il primo leader britannico a farlo dopo Winston Churchill nel 1944. Una dimostrazione fisica e lampante del desiderio del suo governo laburista di ristabilire le relazioni con i principali partner europei. E anche con l’Italia, che pure ha una donna di destra a capo del governo, Starmer ha fatto capire di voler riallacciare quel feeling talvolta incrinatosi negli ultimi anni e causato principalmente dalla congiuntura storica che ha visto per quasi tre lustri consecutivi sedere a Downing Street diversi premier Tory mentre a Palazzo Chigi si alternavano esecutivi tecnici o a guida democratica prima e grillina poi.

Appena insediatasi al governo del nostro paese Giorgia Meloni aveva instaurato un ottimo rapporto sia politico che personale con Rishi Sunak, ma una volta sconfitto nelle urne dai laburisti erano in molti a chiedersi come il nuovo premier laburista si sarebbe posto nei confronti dell’inquilina di Chigi. I pronostici degli “scienziati” dell’analisi politica e diplomatica, come ormai troppo spesso accade, sono stati smentiti. Sia l’incontro avvenuto in settembre a Roma, in occasione della visita di Stato di Starmer in Italia, sia le foto scattate la scorsa settimana al G20 in Brasile che immortalano i due premier – inglese e italiana – tra loro sorridenti e molto in sintonia certificano che per Meloni nulla è cambiato: il Regno Unito rimane un amico e un partner di primissimo piano. Sul terzo protagonista dell’asset strategico europeo, la Germania, il primo ministro inglese è in attesa dei risultati delle elezioni anticipate di febbraio (che quasi sicuramente assegneranno la cancelleria al leader della Cdu Friedrich Merz), ma nel frattempo i rapporti con l’uscente Olaf Scholz sono molto buoni, non fosse altro per la comune appartenenza politica all’area socialdemocratica.

Ecco quindi far capolino quell’idea, sobillata da alcuni esponenti di primo piano dei Dem a stelle e strisce, che con il ritorno di Trump il rapporto storico tra i due vincitori della Seconda guerra mondiale andrà a dissolversi, isolando di fatto l’America che già nelle premesse della nuova amministrazione darà filo da torcere non solo alla Cina, ma anche all’Ue. Di questa prospettiva e della possibile scelta tra l’alleato più potente del suo Paese, gli Stati Uniti, e il suo più grande partner commerciale, l’Unione europea, si è occupato avanti ieri uno dei più importanti quotidiani internazionali, il New York Times. Di tendenze risaputamente democratiche, il Nyt ha pubblicato un lungo editoriale nel quale, invece di analizzare i disastri della sinistra americana travolta da Trump e dai Repubblicani lo scorso 5 novembre, ha sentito il bisogno di mettere in guardia il premier britannico dalle possibili ritorsioni che la nuova amministrazione potrà attuare anche contro il principale amico da questa parte dell’Oceano. “Con la sua storia di antagonismo verso l’Unione europea – scrive il Nyt – il ritorno di Trump complica l’intenzione del signor Starmer di voltare pagina sulla Brexit e perseguire quella che ha definito una opportunità irripetibile per ricostruire i legami con il resto d’Europa”. Con queste parole i soliti media allineati con l’amministrazione americana uscente vorrebbero far intendere che i legami più stretti del Regno Unito con l’Europa potrebbero avvenire a scapito delle relazioni con il presidente americano in arrivo, che fu un convinto sostenitore della Brexit all’epoca del suo primo mandato e che aveva applaudito quando l’allora premier Boris Johnson aveva rotto con l’Ue.

E non è tutto, il pizzino del quotidiano newyorkese si spinge anche oltre affermando che “se il Regno Unito riprenderà questi legami politici ed economici con l’Unione europea, sarà meno probabile che Trump possa optare per un accordo di libero scambio con il suo storico alleato”. Starmer, che avrà pur vinto a mani basse le elezioni inglesi ma è uomo risaputamente dedito alle lunghe ed infruttuose riflessioni (qui a Roma lo definiremmo un “sor tentenna”), viene descritto come avviluppato in ragionamenti sul futuro che gli starebbero perfino togliendo il sonno. In quest’ottica, numerosi media inglesi di tendenza conservatrice, tra cui il Daily Mail, iniziano a preoccuparsi delle decisioni che il premier attuerà quando Donald Trump si sarà formalmente insediato il prossimo 20 gennaio. Nel frattempo, il nuovo ambasciatore britannico a Washington è stato già individuato: sarà Peter Mandelson, esponente di spicco del partito laburista e fedelissimo di Starmer. Con il suo futuro rappresentante diplomatico il premier inglese spera di avere su suolo americano un alter ego pronto a tener botta all’amministrazione repubblicana che sta per insediarsi. Peccato però che lo stesso Mandelson, quasi scoraggiato dalle prospettive future, abbia recentemente affermato, in un podcast del Times of London, che nel rapporto a tre tra Gran Bretagna, Europa e Stati Uniti “dobbiamo trovare il modo di avere la botte piena e la moglie ubriaca”.

Una strategia che non si prospetta particolarmente raffinata e che interpreta perfettamente uno dei più graffianti aforismi di Winston Churchill: “l’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il pessimista vede un pericolo in ogni opportunità”.

Aggiornato il 27 novembre 2024 alle ore 09:14