C’è una bella differenza tra “l’uomo forte” e il “il forte uomo”. Il primo, per definizione, rappresenta lo stereotipo dell’autocrate/dittatore, un soggetto cult da amare o temere; mentre il secondo mantiene tutta la sua parte eroica, nei chiaroscuri di una vita tutta interamente umana. Ora, per moltissime categorie opposte di persone, Donald Trump rappresenta proprio questo tipo moderno di Giano Bifronte. Per i wokist, non esiste altro che lo riguardi, oltre al suo linguaggio scurrile, alla sua faccia odiosa e caricaturale, colta in tutte le espressioni della parodia più o meno indecente. Gli altri, invece, prendono molto sul serio la sua promessa di un vero e proprio (egoistico) Rinascimento americano. Infatti, il vero passaggio di secolo, da quello americano a un altro per ora sospeso, è proprio questo Trump II, perché, così come accadde all’epoca di Franklin Roosevelt e Ronald Reagan, il tycoon di ritorno non ha solo vinto (legittimamente e con grande distacco) la sua elezione a 47° presidente degli Stati Uniti, ma è destinato a provocare cambiamenti in profondità in politica, nelle ideologie correnti e nelle relazioni internazionali.
E si può solo sperare che non si rivedano con lui gli errori del passato, che diano ancora spazio a teorie cospirazionali, come quella che portò nel 2020 a rifiutare l’elezione di Joe Biden e all’invasione del Campidoglio da parte di fan trumpiani scatenati. Malgrado la demonizzazione woke e democrat, che lo ha costantemente dipinto come un dittatore in pectore, irrispettoso delle regole costituzionali, l’America profonda non ha “comprato” questa versione apocalittica dai suoi rivenditori politici progressisti.
Senza però per questo voler negare che in America come in Europa vi sia una forte propensione popolare a investire di responsabilità storiche un qualche “uomo forte” che governi senza troppi vincoli dettati dalle giurisdizioni o dal legislativo. E che, in particolare, vada a risanare, del tutto o in parte, le infinite piaghe socio-economiche prodotte in Occidente dalla globalizzazione incontrollata e dalla disumanizzazione del lavoro umano, al quale va restituita la nobiltà e il valore fondamentale che gli compete. E questa volontà degli elettori americani di investirlo della rinascita socio-economica nazionale, spingerà certamente Trump a fare scelte molto più radicali, rispetto al 2016, su libero commercio, difesa e democrazia, coinvolgendo l’America e il resto del mondo in battaglie tariffarie e nella corsa agli armamenti, a causa del venir meno soprattutto in Europa della protezione dell’ombrello americano. All’interno, la sua nuovissima squadra giocherà al gioco dell’asso pigliatutto, attraverso il ricorso a uno spoil-system generalizzato, per disinnescare i poteri di veto del deep State, che ne hanno condizionato la sua presidenza nello scorso mandato. Gli elettori americani, in buona sostanza, sono disposti ad approvare le politiche protezionistiche che il nuovo presidente intenderà adottare, anche in considerazione che Joe Biden ha mantenuto il sistema tariffario messo in piedi dal Trump I. Né la futura America trumpiana potrà mai più avventurarsi in politiche fallimentari e rovinose di “esportazione della democrazia”, alla George W. Bush, come accadde per l’Afghanistan e l’Iraq nei primi anni Duemila.
Trump, in tal senso, gode dell’indubbio vantaggio di non essere mai stato un guerrafondaio e da sempre restio a sacrificare soldati americani per le cause ideali. Ovviamente, per assicurarsi la sicurezza sul fronte occidentale, The Donald sarà ben contento di sottoscrivere accordi ad hoc con Vladimir Putin, dato che per lui è il solo modo di frenare il declino americano, riorientando all’interno tutte le immense potenzialità economiche dell’America. Invece, la sua spiccata reaganite lo porterà ad alleggerire la tassazione sul ceto medio e sulle grandi aziende con forti dosi di detassazione e deregulation, decretandogli un forte gradimento popolare. Perché, il Leviatano Trump è sopravvissuto a tutti i tentativi woke e democrat di inguaiarlo giudizialmente e di ridicolizzare la sua postura politica, di cui, come un potente riciclatore di veleni in nutrienti, The Donald ha fatto tesoro per la sua strepitosa crescita elettorale.
Vincendo con largo margine su Kamala Harris, Trump ha fornito una prova concreta all’opinione pubblica mondiale che l’America intera condivide la sua Agenda 47, proposta dal movimento trumpiano di Maga, in cui spiccano le politiche dei tagli fiscali, dell’espulsione di massa dei migranti irregolari o pericolosi, e della bonifica in profondità del deep State. Il tutto si sposa con il mood popolare, che prevale in tutto l’Occidente, di un clima anti-élite sfavorevole a chi ha già governato, dato che i cittadini non ne possono più di “migrazioni libere”, inflazione e cambiamenti culturali, a tutto danno delle identità nazionali e della conservazione delle proprie tradizioni.
Per noi, che rappresentiamo la Venere vegetariana del mondo cannibale, che si tinge quest’ultimo sempre più di giallo, nero e rosso, sarà meglio che Trump mantenga tutte le sue promesse, compresa quella di obbligarci a scegliere, finalmente, una strada comune europea per difesa e innovazione tecnologica.
Aggiornato il 26 novembre 2024 alle ore 17:41