L’economia della morte fa crescere la Russia

La narrazione delle guerre ha numerose sfaccettature che spesso non vengono scritte nei testi destinati a qualsiasi livello di istruzione o lettura; non solo questo crea carenza conoscitiva e causa condizionamento ideologico in chi studia o legge, ma narrando vicende storiche come “epopee”, frutto invece di costruzioni politiche utili al momento ed al futuro, si struttura una falsità come “storia vera”. La guerra che sta devastando l’Ucraina rappresenta molti aspetti che ricadono nelle articolate pseudo verità descritte, tra queste le dinamiche economiche che la Russia sta impiegando in un conflitto che aveva previsto fosse molto più breve. Infatti le ciclopiche somme spese per i lauti compensi dei mercenari, come i bonus dati ai familiari delle vittime di guerra, ma soprattutto le spese per l’industria militare, hanno creato una “bolla finanziaria”, quindi alti volumi di scambio, che per logica economica dovrebbe obbligare la Russia a prolungare la guerra. Potremmo dire che “l’economia della morte” stimola la crescita della Russia? E quali sono i “fondamentali” di tale economia?

Ovviamente questi “fondamentali” sono per primo le risorse umane. Vladimir Putin a quasi tre anni dall’inizio della sua “operazione militare speciale” in Ucraina, è alla “caccia” di nuovi volontari per combattere al fronte. In questa corsa all’arruolamento, le autorità russe regionali e federali, ammaliano i volontari con compensi accattivanti: bonus economicamente importanti, benefici sociali attraenti, il tutto supportato da una propaganda martellante pubblicizzata nelle università, nelle piazze, in luoghi di frequentazione, nelle tv e sui social network. I motti sono: “Sii un eroe! unisciti a noi, difendi la terra di Kursk”.

Ma che la carenza di carne da cannone, ovvero dei fondamentali dell’economia della guerra, sia forte lo si è visto anche ad agosto quando la propaganda ha esortato all’arruolamento gli uomini fino a 65 anni, in quel caso per unirsi al reparto di Bars-Kursk situato nella regione di confine russa, occupato ad agosto dalle forze ucraine, poi recentemente riconquistato dalle truppe russe. La recente entrata in guerra delle truppe nordcoreane, dopo avere coinvolto e spremuto l’esercito della Cecenia, fattore poco sottolineato, ha poi suggellato questa carenza di uomini da fronte. In uno scenario dove l’opposizione interna al Cremlino è quotidianamente ammutolita, Putin recentemente ha sfoderato il suo migliore mercanteggiamento – per restare nell’ambito “finanziario-commerciale” – nominando il 5 novembre, con decreto presidenziale, governatrice regionale Maria Kostiouk, madre di Andrej, un soldato rimasto sul fronte ucraino. La quarantasettenne Kostiouk, è ora alla guida della regione di Birobidzan, nell’Oblast autonoma ebraica, Jao, zona desolata vicino al confine con la Cina dove c’è una fermata della ferrovia transiberiana.

Con questo riconoscimento si è voluto simboleggiare una crescita sociale nata dall’opportunità che il sacrificio del fronte può offrire, o un compenso per la morte di un figlio? La propaganda è una cosa ma la realtà è più sfumata. Infatti la Kostiouk è laureata in gestione statale e municipale presso l’Accademia regionale di economia e diritto, alta funzionaria locale, ex vicesindaco della città di Birobidjan; inoltre ha ricoperto molteplici incarichi nell’amministrazione della sua regione: vicepresidente del governo locale, poi vice capo dello staff del governatore. La sua carriera si è sviluppata attraverso la sua attività nelle organizzazioni patriottiche e giovanili gestite dal partito del Cremlino “Russia Unita”. Da allora le immagini della carriera di Maria Kostiouk circolano continuamente sui canali televisivi del regime e sui social network gestiti dal Governo di Mosca. Quindi niente ascensore sociale.

Ma questa operazione può essere inquadrata come una modalità per creare una nuova élite? Probabilmente si, in quanto molta di questa propaganda serve al governo per “apparire”, ed annichilire la depressione sociale causata dagli oltre 700mila (dato in difetto) soldati russi morti. Vladimir Putin punta comunque a creare una nuova élite, e lo ha in più occasioni pronunciato; affermando che coloro che oggi servono la Russia, lavoratori e soldati, formeranno una nuova e “vera élite”. Non nascondendo la volontà di annichilire quelle “aristocraziepolitiche ed economiche che nel caotico decennio dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la fine di quella “tipologia di comunismo”, si arricchirono grazie ai nuovi processi economici. L’obiettivo è mostrare agli indecisi che il loro arruolamento serve alle proprie famiglie. La propaganda offre quindi oltre cospicui bonus economici, anche numerosi vantaggi, come l’ingresso all’università per i figli, formazione professionale per le mogli delle vittime del fronte, e prestiti per l’acquisto della casa a tassi agevolati. Poi ci sono i compensi per i procacciatori di reclute: chi presenta un aspirante soldato riceve 100mila rubli, quasi 950 euro, e grazie a queste “sirene” il ministro della Difesa russo Sergej Kuzugetovic Sojgu, ha comunicato che ha assoldato poco meno di 400mila uomini. Poi Putin a fine estate ha più che raddoppiato il mensile dei mercenari o contractors, da 190mila rubli a 400mila (3700 euro); almeno dieci volte uno stipendio medio.

Da queste ormai triennali dinamiche economiche, che vedono il rublo circolare robustamente insieme a scambi economici internazionali giganteschi, e una parte della società con l’opportunità di “crescere”, sia socialmente che culturalmente, il capo del Cremlino punta a costruire, semplificando, la sua “nuova élite”; composta da veterani dell’operazione speciale e dai familiari che traggono vantaggi dal parente morto. Una cinica economia della morte – probabilmente in crescita alla luce dei nuovi missili balistici – strutturata su una parte della società dopata dalla propaganda di regime.

Aggiornato il 25 novembre 2024 alle ore 10:27