Disordine mondiale, medie potenze e il prossimo Potus

L’America ha bisogno di partner in Eurasia che possano aiutare Washington in un momento in cui Mosca e Pechino stanno cercando di indebolire l’architettura del sistema internazionale

Dopo una vittoria decisiva, il presidente Donald J. Trump si sta preparando a tornare alla Casa Bianca. Come nel caso dei presidenti al secondo mandato, sottratti ai vincoli della rielezione, è probabile che il presidente eletto Trump persegua le politiche in cui crede, soprattutto nell’arena globale in cui i capi di governo statunitensi godono di ampia libertà d’azione. Trump assumerà l’incarico in un momento di crescente disordine mondiale. Per far fronte al suo mandato saranno necessari un pensiero fuori dagli schemi e nuovi partner, soprattutto in Eurasia.  

In questa era caotica di intensificazione dei conflitti, in gran parte alimentati dalla competizione tra grandi potenze, si stanno affermando una serie di nazioni secondarie. Sempre più noti come “medie potenze”, gli Stati di diverse aree del mondo, come l’Australia, il Brasile, l’Indonesia o la Polonia, spinti da una combinazione di minacce e opportunità cercano di svolgere un ruolo nella gestione di un’architettura globale sottoposta a stress e tensioni crescenti. Uno di questi attori emergenti è il Kazakistan, con il suo posizionamento singolare tra Russia, Cina e Stati Uniti.

La nuova amministrazione Trump ha bisogno di un approccio strategico alle relazioni con Astana e con la regione più ampia dell’Asia centrale.

Sono stato nella capitale kazaka dal 15 al 18 ottobre scorsi, per partecipare a una conferenza sull’ascesa delle medie potenze e sulle implicazioni per un sistema internazionale in crescente disordine. Il Kazakhstan Institute for Strategic Studies ha invitato una serie di studiosi e di ex responsabili di politica estera di tutto il mondo per valutare il ruolo delle nazioni secondarie in un’epoca intrisa di pericoli che non si vedevano dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il Kazakistan, nel cuore del supercontinente eurasiatico, sta dando forma al dibattito globale sull’argomento.

Lo stesso giorno in cui è iniziata la conferenza, il Kazakistan ha rifiutato l’offerta di adesione al gruppo dei Brics, guidato da Cina e Russia. Il portavoce presidenziale Berik Uali ha affermato: “Tuttavia, attualmente, e molto probabilmente nel prossimo futuro, il Kazakistan si asterrà dal presentare una domanda di adesione ai Brics”.

Uali ha spiegato che il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev considera le Nazioni Unite come “un’organizzazione universale e incontrastata” e mira a riformare il Consiglio di Sicurezza dell’Onu per riflettere gli interessi delle medie potenze. Questo posizionamento è in linea con  l’approccio multivettoriale di Astana alla politica estera, un concetto coniato dallo stesso presidente Tokayev negli anni Novanta quando era ministro degli Esteri.

Tokayev è stato l’oratore di punta della conferenza, sottolineando le sfide che il suo Paese deve affrontare per destreggiarsi in una competizione sempre più aspra tra grandi potenze. Il presidente kazako ritiene imperativa una soluzione negoziata della guerra in Ucraina, ammonendo che “l’alternativa è una guerra di sterminio reciproco”. I kazaki considerano il proseguimento del conflitto in Ucraina come una minaccia alla loro sicurezza nazionale, a causa del suo potenziale di danneggiare la loro economia politica e persino la loro sovranità e indipendenza. Vedono l’incapacità di Washington e Mosca di raggiungere un accordo e, in quanto principali parti interessate, sperano di svolgere un ruolo di mediatori.

Purtroppo, l’Occidente ha dimostrato la sua incapacità di dissuadere la Russia dall’invadere l’Ucraina. Inoltre, dopo aver fallito nel prevenire la guerra, l’amministrazione Biden si è dimostrata incapace di aiutare Kiev a difendersi adeguatamente dall’attacco militare del Cremlino. Negli ultimi mesi, le forze russe hanno iniziato a spingersi più in profondità nel territorio ucraino, una situazione che Tokayev ha rilevato nel suo discorso quando ha descritto Mosca come “militarmente invincibile”. Per quanto scomoda, questa percezione deriva dalla realtà del campo di battaglia e dall’inefficacia del regime di sanzioni occidentali.

Il leader kazako ha poi parlato del ruolo centrale delle Nazioni Unite, che ha sottolineato essere il principale organismo internazionale per affrontare i problemi mondiali. Le sue pecche, ha sostenuto, potrebbero essere ovviate dando potere alle medie potenze e a quelle regionali, in particolare nel Consiglio di Sicurezza. Ciò dimostra che il Kazakistan, pur mantenendo i suoi stretti legami con la Russia e la Cina, non è interessato ad aderire ai Brics, un forum dominato dai due principali avversari degli Stati Uniti. Astana è invece interessata ad avere un ruolo nella geopolitica con la G maiuscola, che richiede un bilanciamento tra interessi contrastanti.

Le ambizioni di politica estera del Kazakistan rappresentano un’opportunità storica che gli Stati Uniti non possono lasciarsi sfuggire. L’America ha bisogno di partner in Eurasia che possano aiutare Washington in un momento in cui Mosca e Pechino, le due grandi potenze contrarie allo status quo, stanno cercando di minare l’architettura del sistema internazionale. Pertanto, è fondamentale che gli Stati Uniti vadano oltre l’attuale rapporto di amicizia con il Kazakistan e l’Asia centrale, che purtroppo hanno mantenuto sia le amministrazioni democratiche che quelle repubblicane. Il team di transizione di Trump dovrebbe pianificare di andare oltre il “dialogo di partenariato strategico rafforzato” con Astana, a beneficio della sicurezza reciproca e dell’interesse economico dei due Paesi, rafforzando così i legami con l’Asia centrale e contribuendo alla causa della sicurezza e della stabilità internazionale.

(*) Tratto da The National Interest

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada

Aggiornato il 14 novembre 2024 alle ore 10:08