Elezioni Usa: il ruggito della middle class

Durante le ultime elezioni americane, nonostante le numerose previsioni “soloneggianti” dei soliti pennivendoli che spadroneggiavano nei canali televisivi generalisti e sentenziavano sulla carta stampata, quod erat demonstrandum è emersa, anche in modo trionfale, la realtà dello stato sociale e dell’economia reale, sempre più in difficoltà, se non in alcuni casi anche indigente, del popolo statunitense.

Difatti, c’è stato l’irrefrenabile ruggito della bistrattata middle class statunitense, la quale ha rivendicato tutti i suoi disagi e difficoltà economiche, dovuti anche e soprattutto all’aumento dei prezzi dei beni di consumo di prima necessità.

Un ruggito che ha spazzato via le svariate elucubrazioni radical chic della cotanta intellighenzia statunitense che, insieme a quella nostrana, non mancavano mai di imperversare con le loro analisi pre-elettorali “illuminanti”.

Il dado è tratto, il successo imprevisto, ma non imprevedibile, del quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti d’America ha illuminato definitivamente la miopia che volente o nolente manifestava la pletora di analisti e di improvvisati politologi del momento.

La sconcertante suddetta miopia ha riguardato, in particolare, l’incapacità di comprendere quanto Donald Trump interpretasse da un punto di vista programmatico ed emotivo tutto il disagio e il malessere vissuto dalla classe media del suo Paese.

Una middle class progressivamente depauperata dalle politiche economiche dell’amministrazione Biden e dalla sua politica internazionale belligerante (con i relativi costi alquanto ingenti per la finanza pubblica) senza alcuna soluzione di continuità, come nel caso della guerra in Ucraina.

Uno dei paradossi più inquietanti dell’economia reale degli Usa, attualmente consiste proprio nell’aumento spropositato di beni fondamentali come il cibo, per esempio negli Usa costa meno (in proporzione) soggiornare in una stanza di albergo che comprare un semplice panino.

Questo depauperamento del potere di acquisto non ha fatto altro che penalizzare ulteriormente le condizioni economiche della classe media, determinando un aumento sempre più radicale della distanza tra il reddito della classe ricca sempre più ricca e la classe produttrice, nonché manifatturiera, della middle class.

Le politiche economiche iniziate con la perniciosa e nefasta deregulation della presidenza del repubblicano Ronald Regan, (mal consigliato da suo vice di allora George Bush senior) e le politiche delle amministrazioni successive del democratico Clinton, fino ad arrivare a quelle guerrafondaie del “premio Nobel per la pace” Obama e poi dello stesso attuale Biden, non hanno fatto altro che impoverire ulteriormente la ricchezza pro capite statunitense.

Il fatto incontrovertibile è che, mentre nei casi precedenti succitati vinceva il candidato di un partito, in queste ultime elezioni statunitensi ha trionfato solo ed esclusivamente il candidato a prescindere dal partito di appartenenza, ossia Donald Trump, il quale con la sua politica “non politicamente corretta” ha scardinato l’annoso consociativismo recondito che vigeva tra il partito democratico e il partito repubblicano.

Un consociativismo che potremmo definire, usando una terminologia politica tipicamente italiana, “gattopardesco”, in quanto non permetteva nessun radicale e reale cambiamento, tutto a danno della middle class.

Pertanto, quello che non hanno compreso i profetizzanti e sedicenti economisti, anche italiani, i quali hanno rivendicato i risultati dell’aumento del Pil statunitense con la presidenza di Biden, è rappresentato dal fatto che quella ricchezza non si è ridistribuita tra la popolazione statunitense, ma è andata ad aumentare direttamente ed esclusivamente il benessere della classe economica finanziaria più agiata e sempre più ricca.

Il dato più significativo è stato quello da cui si è evinto che Trump, ottenendo anche la maggioranza popolare, da un lato ha sbaragliato tutti i pronostici con un risultato che da decenni non si vedeva raggiungere nelle elezioni di un presidente statunitense, dall’altro lato ha allargato il suo consenso oltre il bacino elettorale della componente tradizionale cosiddetta Wasp (white anglo-saxon protestant), raggiungendo anche i voti dei latinos e degli afroamericani, nonché delle donne.

Tutto ciò è avvenuto anzitutto perché la maggioranza del popolo americano, indigeno o regolarizzato, oramai appartiene a quel grande contenitore definito middle class, dove i principi della tradizione e del buon senso, sono alla base del proprio vivere comune in modo realistico e pragmatico, per la quale non v’è più alcuno spazio per sperperare risorse finanziarie statali per la promozione di certe teorie surreali transgender, non v’è più alcuno spazio per distrarre le finanze pubbliche a favore di politiche speculative vantaggiose per gli interessi economici delle grandi lobbies finanziarie con la cosiddetta pseudo transizione ecologica, non v’è più alcun spazio per delle politiche culturali finalizzate a una progressiva distruzione di quei paradigmi identitari che hanno fatto grandi gli Stati Uniti d’America, non v’è più alcun spazio per le politiche demagogiche di invasione caotica e pericolosa di clandestini che vanno ad aumentare la manodopera della criminalità o a invadere stazioni, vivendo sia di stenti sia compromettendo la stessa sicurezza sociale dell’intera collettività.

Inoltre, l’aspetto cruciale della valanga di voti ricevuti da Donald Trump (persino nello stato della Florida) consiste proprio nella protesta popolare e quindi della classe media, contro la deriva dell’ideologia woke.

Il significante woke indica quel pensiero unico che è imposto nelle prestigiose e costose università statunitensi, che la classe ricca e privilegiata radical chic ha posto alla base del suo modus agendi per demonizzare e condannare in modo autolesionistico e masochistico i valori dell’Occidente in generale e della propria nazione in particolare.

Invero, alla base di questa succitata ideologia vi è l’accusa “inconfutabile” di ipotetici crimini commessi da parte dell’Occidente nei confronti delle minoranze etniche (senza peraltro adottare nessuna analisi storica contestualizzata), sostenendo che proprio nella cultura occidentale risiedono tutte le cause dei mali che affliggono la società attuale, in tutto il mondo.

La violenza ideologica e non solo (direi anche fisica), è emersa nelle manifestazioni contro la commemorazione dei padri fondatori degli Usa o di scrittori, attori e artisti famosi.

Persino contro la statua di Cristoforo Colombo si sono accaniti i seguaci del pensiero woke, a conferma del fatto che siamo di fronte a una folle nevrosi da psicanalisi, cavalcata dalla sinistra statunitense ed eterodiretta da quei poteri finanziari che hanno devastato la middle class.

La surreale follia dei seguaci di questa ideologia woke (nata nel 2017), la quale deriva dal participio passato del verbo “wake” e che significa “svegliarsi”, ha mietuto diverse vittime anche negli atenei statunitensi, inducendo le università ad allontanare quei docenti che non si sono voluti allineare ai principi di questa aberrante ideologia.

Ebbene, se è vero che ciò che avviene negli Usa, di riflesso, accade anche in Europa in generale e in Italia in particolare, possiamo sperare che anche la nostra classe dirigente e la nostra intellighenzia radical chic dovrà misurarsi e confrontarsi con questo ruggito della classe media tanto numerosa quanto progressivamente impoverita, la quale rivendica i propri diritti contro tutta questa deriva autodistruttiva di una certa interpretazione politico-economica che l’élite finanziaria vorrebbe applicare all’Occidente presente e futuro, con la complicità politico-operativa della sinistra, che oggi tutto rappresenta eccetto le classi disagiate, come appunto è al momento la middle class.

Virtus est medium vitiorum et utrimque reductum (Orazio)

Aggiornato il 12 novembre 2024 alle ore 09:20