Con Trump salta la speculazione finanziaria europea sulle armi

In tanti si stanno interrogando sul perché di questo vertice informale dell’Ue a Budapest. Oggi venerdì 8 novembre i capi di stato e di governo dell’Ue si sono autoinvitati a casa di Viktor Orbán: qualche malevolo suggerisce per redarguire e silenziare il premier magiaro.

Infatti, solo Orbán e lo slovacco Robert Fico (premier anche lui) avevano denunciato all’inizio del conflitto in Ucraina come le politiche dell’Ue avessero sposato la linea dell’industria delle armi consigliata dai poteri finanziari occidentali. Gli stessi poteri finanziari che, non tanto velatamente, hanno prima sponsorizzato la presidenza Biden e poi la campagna elettorale di Kamala Devi Harris. Non è un caso vi siano stati ben due attentati (in Pennsylvania e in Florida) alla vita di Donald Trump durante la campagna presidenziale: secondo certi beninformati dovuti alla spaccatura nella Nra (National Rifle Association), la potente lobby delle armi Usa divisa nell’ultima campagna elettorale proprio tra l’appoggiare i Democratici o i Repubblicani.

Perché l’effetto Trump era il più temuto dai poteri bancari occidentali che tutelano i grandi investitori dell’industria delle armi: infatti il secondo mandato di Trump ha promesso al mondo la fine dei conflitti bellici e, soprattutto, aiuti ad imprese manifatturiere Usa non impegnate nella produzione di strumenti di morte.

Impegno che il neopresidente ha rincarato dopo i due attentati, giurando restrizioni a vendita ed uso delle armi che nessun inquilino della Casa Bianca (sia repubblicano che democratico) s’è mai anche lontanamente permesso d’accennare. A questo va aggiunto che, da anni il presidente russo Valdimir Putin denuncia come l’Unione Europea s’avventuri su due politiche finanziarie: alla luce del sole l’Ue promuove politiche ecologiste estreme ed un pacifismo di facciata, ma nei meandri del potere spinge sull’industria bellica a discapito delle manifatture tradizionali.

Oggi le denunce di Putin potrebbero trovare ascolto proprio nella nuova presidenza Trump, promuovendo una pace duratura in Ucraina e, soprattutto, facendo emergere il castello di bugie che ha sotteso la rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue: non è un caso che oggi a Budapest ci sia anche Mario Draghi, interlocutore italiano proprio con quei poteri bancari che hanno consigliato all’Ue di investire su green e armi.

L’industria planetaria delle armi ha un fatturato totale di oltre 600 miliardi di dollari, ed è vista dagli esperti sempre in crescita, perché la spesa militare globale è uno dei fattori che non ha mai conosciuto decrementi: uno dei motivi che ha consigliato all’Ue di far dismettere manifattura ed agricoltura per puntare su armi ed ecologia di facciata. Invece in Usa il bilancio dell’industria delle armi è di 238 miliardi di dollari: la cifra record di tutti i tempi è stata toccata nel 2023 dagli Stati Uniti, proprio durante la presidenza Biden, da qui l’impegno di una importante fetta dell’Nra ad appoggiare Kamala Harris.

In Italia la lobby delle armi è rappresentata dall’Anpam, che annualmente pubblica i dai del proprio fatturato industriale: un valore economico di circa 7,5 miliardi di euro, con un peso dello 0,42 per cento sul Pil Italiano.

È noto che il controllo delle armi divida le politiche Usa da circa una sessantina d’anni, da quando cinema e giornalismo hanno pian pianino messo in crisi il modello dell’uomo sempre armato e pronto a difendere i propri diritti pistola alla mano: dopo i due attentati è Trump che chiede quelle restrizioni che i democratici non avrebbero mai osato nemmeno pensare.

Dagli anni ’60 gli Usa sono ormai divisi sulla facile vendita delle armi. Trump dopo gli attentati ha detto pubblicamente durante un comizio di non avere paura della lobby delle armi. Certamente ha spalancato le porte al dibattito, e non dimentichiamo che in Texas è ancora permesso da una legge federale di portare in bella vista pistola e cinturone. Oggi negli Usa anche i pacifisti s’interrogano su fatto che possa essere arrivata la presidenza in grado di mettere in discussione il Secondo Emendamento della Costituzione Usa, che garantisce a tutti gli americani il diritto di possedere armi a scopo di difesa.

Certamente questo progetto di Trump crea malumori anche tra i Repubblicani, perché temono un “ordine esecutivo” della Casa Bianca che, scavalcando il Congresso, porrebbe grossi limiti all’industria delle armi. Iniziativa di Trump che creerebbe non poco imbarazzo a deputati e senatori sia repubblicani che democratici: i deputati repubblicani hanno ricevuto dalla Nra circa 26 milioni di dollari di finanziamenti per campagna elettorale, e circa il doppio sarebbe stato indirizzato ai democratici.

È noto che gli Usa sotto le presidenze democratiche abbiano occupato un terzo del mercato mondiale delle armi. Invece la nazione dell’Unione Europea leader nell’industria bellica si conferma la Francia, e sappiamo come il presidente Emmanuel Macronintenda porre i suoi vertici militari a capo della difesa Ue.

Ma la presumibile pace con la Russia scompiglia le carte dei poteri politico-finanziari europei. A dare manforte a von der Leyen e Macron provvedono anche questa volta le potenti lobby democratiche Usa che, tramite stampa e televisione, supportano anche l’opposizione ai governi europei di centro-destra desiderosi di smarcarsi dagli impegni bellici. I vertici dell’Ue sono oggi in grande difficoltà, temendo l’effetto Trump possa anche permettere ai paesi più attenzionati della Commissione Ue (come Italia ed Ungheria) di smarcarsi da sanzioni di Bruxelles, obblighi ed ottemperanza a normative. Potrebbe essere una fine, ma anche l’inizio di una nuova Europa.

Aggiornato il 08 novembre 2024 alle ore 12:38