La “questione” Cina-Taiwan è avvolta da una capsula di moderata prudenza che sempre più spesso presenta delle crepe. Da una parte la Cina che non riconosce per questioni storiche l’indipendenza dell’isola, dall’altra per le stesse motivazioni storiche Taiwan afferma la propria autonomia. La Cina e Taiwan sono state separate dalla fine della guerra civile avvenuta nel 1949; e già da allora Mao Zedong fu decisamente preoccupato per una eventuale intromissione militare degli Stati Uniti a Taiwan. Per questioni di “fine diplomazia” gli Stati Uniti, nel 1979, interruppero le relazioni diplomatiche con Taipei, un modo per riconoscere Pechino come unico rappresentante ufficiale della Cina. Ma Washington, percorrendo strade diplomatiche delicate ma ardite, ha continuato a mantenere un ruolo decisivo nel sostenere Taiwan.
La Cina negli ultimi anni ha continuamente effettuato esercitazioni finalizzate a ipotizzare un assedio di Taiwan, esternando in vari modi le sue ambizioni verso l’isola considerata separatista. La cadenza di tali “esercizi” è così sistematica e strutturata che si potrebbero classificare, in modo semplicistico, come una concatenazione di obiettivi con scadenza stabilita. Tant’è che “l’imperatore” Xi Jinping ha fatto intendere che entro il 2027 Taiwan sarà sotto il controllo cinese, ovviamente sconvolgendo l’intera area asiatica e non solo.
In questo quadro l’obiettivo di avvertire nuovamente Taiwan delle ambizioni cinesi, ha avuto una accelerazione l’altro ieri, lunedì 14 ottobre, quando i sistemi di controllo di Taipei hanno rilevato un numero mai registrato di oltre centocinquanta aerei da guerra cinesi sorvolare l’isola - tra questi gli Y-8, aerei dell’intelligence, non da combattimento, che hanno capacità di rilevamento subacqueo - nel contesto di manovre militari di Pechino finalizzate a circondare Taiwan. Di questi velivoli, oltre cento hanno attraversato la linea mediana dello Stretto di Taiwan, largo centottanta chilometri, che divide l’isola dalla Cina continentale.
Le manovre di accerchiamento, secondo quanto comunicato martedì dal ministero della Difesa taiwanese, sono durate circa venticinque ore, terminando intorno alla mezzanotte. Inoltre sono state rilevate anche quattordici navi da guerra cinesi nel perimetro dell’isola. Ulteriormente, il portavoce del Ministero della Difesa ha dichiarato che almeno novanta aerei cinesi sono penetrati all’interno della zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan. Per contro, Pechino ha affermato che l’esercitazione denominata “Joint Sword-2024B” era un nuovo avvertimento contro gli atteggiamenti separatisti da parte di Taipei.
In realtà i dispendiosi “giochi di guerra” cinesi avvengono a valle della Festa Nazionale di Taiwan celebrata la settimana passata, in cui il presidente William Lai Ching-te, durante il suo discorso, ha affermato che la Cina non ha il diritto di rappresentare Taiwan e che il suo impegno è quello di garantire la resistenza all’annessione o ad una eventuale invasione. Oltre la minacciosa esercitazione, l’ufficio cinese per gli affari di Taiwan, attraverso una nota, ha comunicato che le manovre militari di lunedì scorso sono un avvertimento e una “punizione” per la continua creazione di paradossi sull’indipendenza di Taiwan da parte del presidente taiwanese Lai Ching-te. La comunicazione cinese si chiude specificando di considerare Taiwan “parte del suo territorio e non esclude di ricorrere alla forza per conquistare l’isola “irredenta”.
Cho Jung-tai, capo del governo di Taiwan, ha dichiarato che tali manovre militari devono preoccupare tutta la regione. Infatti tali operazioni stanno seriamente condizionando l’intero diritto di navigazione internazionale e lo spazio aereo e marittimo. Da parte sua, Taiwan ha esortato la Cina a interrompere tali provocazioni che destabilizzano l’area e minacciano la pace, facendo poi riferimento al concetto di “democrazia e libertà” presenti a Taiwan; temi, questi ultimi, sconosciuti all’imperatore Xi.
Dopo questo sfaccettato scambio tra Cina e Taiwan gli Stati Uniti, alleati dell’isola, hanno espresso preoccupazione, attivando le proprie esercitazioni militari nel conteso Mar cinese meridionale. E così ieri, migliaia di marines statunitensi e filippini hanno avviato esercitazioni congiunte programmate per dieci giorni nelle Filippine, anch’esse teatro di una disputa con la Cina. Le esercitazioni sono incentrate sulla difesa della costa settentrionale dell’isola principale delle Filippine, Luzon, che dista circa ottocento km da Taiwan.
Ricordo che la posizione statunitense nei riguardi di Taiwan fa riferimento a una legge del Congresso Usa che approva la vendita a Taiwan di armi al fine di garantire un’autonomia difensiva in caso di aggressione cinese. Inoltre gli Usa hanno previsto quella che viene definita “ambiguità strategica”; una mascherata cobelligeranza, perché di questo si tratta, che prevede la possibilità di intervenire militarmente. Oltre che “ambigua” è anche una doppia strategia. Infatti è ideata sia per dissuadere Pechino ad agire militarmente verso Taipei, sia per scoraggiare Taiwan dal provocare Pechino con dichiarazioni ufficiali di indipendenza.
Ma nel complesso di una ampia crisi dove Russia e Ucraina, Israele e l’Asse della resistenza, come “Occidente” e Brics+, pongono il proprio peso sui piatti della bilancia geostrategica, un eventuale attacco della Cina a Taiwan andrebbe a porre un peso su un piatto della bilancia ben definito con effetto forse catastrofico.
Aggiornato il 17 ottobre 2024 alle ore 09:32