Non più tardi di una decina di giorni fa avevo scritto di quanto Keir Starmer, il nuovo premier laburista inglese, fosse in difficoltà dopo appena tre mesi dalla strabordante vittoria del 4 luglio scorso. Scandali legati a regalie che forse sarebbe stato opportuno non accettare, l’annuncio di una manovra lacrime e sangue che ha fatto rizzare i capelli anche ai più vegliardi socialisti del Regno e una durissima presa di posizione sull’immigrazione che al confronto i decreti Salvini sono una carezza, hanno fatto precipitare la popolarità dell’inquilino di Downing Street di quasi trenta punti percentuali. Dai mortaletti ancora fumanti dalla grande festa per la riconquista del governo di Sua Maestà, il labour si è ritrovato così tanto rapidamente a dover parare i colpi di un’impopolarità dilagante da imporre urgentemente un cambio di passo al suo stesso leader e premier. A poco è servita la restituzione di un paio di abiti comprati dalla moglie del premier, Lady Victoria, con i soldi donati alla campagna elettorale laburista dal prolifico finanziatore Lord Alli e ancora meno ha fatto breccia tra i giornalisti e nell’opinione pubblica il rimborso del costo dei biglietti (circa 6mila sterline) per un concerto di Taylor Swift a cui aveva partecipato la coppia in agosto e pagati prelevando dalla stessa cassa.
Starmer, come spesso accade ai potenti catapultati dal nulla alla stanza dei bottoni, ha cercato di scrollarsi di dosso l’onta scaricando su altri le responsabilità dei fiaschi e delle marachelle che hanno costellato i primi cento giorni del suo mandato. Normale, fisiologico, è la politica bellezza! Nessuno, tuttavia, avrebbe immaginato che la prima testa a ruzzolare sarebbe stata quella della potentissima Sue Gray, sessantasettenne capo dello staff del primo ministro, stratega raffinatissima e spregiudicata a cui, secondo molti analisti inglesi, Starmer deve la vittoria elettorale che ha riportato i laburisti al governo dopo quattordici lunghi anni di potere Tory. Gray, che in molti chiamavano “la Zarina” (e che fino a ieri l’altro guadagnava più dello stesso premier) è colei che non più tardi di poche settimane fa il Times definiva “la vera guida del Regno Unito”. Di più, l’ex ministro Lib-Dem David Laws ha ricordato nel suo libro di memorie appena uscito in Gran Bretagna che “in questo Paese niente si muove se lei non dà l’approvazione”. E a dire il vero Laws non esagerava affatto: Gray ha avuto un potere sconfinato su Starmer che il premier, appena nominato da Re Carlo III il giorno dopo le elezioni, le aveva affidato la delicatissima transizione per l’insediamento del nuovo governo e addirittura l’incarico di selezionare i migliori candidati per un ruolo da ministro.
Com’è possibile, quindi, che una donna così potente ed essenziale per il primo ministro inglese sia stata fatta fuori dallo stesso premier, per di più in un momento di affanno politico così marcato? Semplice: come in una trasposizione nella vita reale della saga House of Cards (ambientata a Washington ma nata dalla penna raffinatissima dello scrittore inglese Michael Dobbs), Sue Gray è stata vittima di manovre di potere interne e tutte celate dietro il famoso portoncino nero al numero 10 di Downing Street. Molti funzionari governativi hanno raccontato che nelle ultime settimane il malumore nei suoi confronti era cresciuto a dismisura, ritenendola una delle cause principali della crescente impopolarità di Starmer. Quando a settembre è scoppiato il caso dei rimborsi e delle spese non dichiarate che ho già citato, Gray si è ben guardata dal fare da parafulmine al capo, lasciando di fatto che il premier annaspasse in uno scandalo che in altre circostanze avrebbe travolto qualsiasi primo ministro.
E non è tutto: quando qualche documento riservato di Downing Street è arrivato alla stampa, lei ha più volte requisito i cellulari dei sospetti, li ha analizzati personalmente e sottoposto a veri e propri interrogatori i proprietari. Quanto basta per ordire una congiura di Palazzo scaturita dal malumore generalizzato dello staff e dei consiglieri più fidati di Starmer. Tra questi, colui che per molti retroscenisti inglesi sarebbe il vero artefice del siluramento della Zarina è il potentissimo Morgan McSweeney, quarantasettenne di origine irlandese e consigliere supremo di Starmer. Un uomo altrettanto diabolico, geniale e spregiudicato di Gray, ma a cui il premier deve la strategia che negli ultimi anni ha impresso un riposizionamento verso il centro del Labour post Corbyn; di fatto, senza giri di parole, il vero artefice della lunga marcia di Starmer verso Downing Street.
La vendetta di McSweeney contro Gray, in una sorta di guerra tra bande all’ombra del premier, è stata decisa dal rampante irlandese quando un bel giorno (non più di tre settimane fa), entrando in ufficio, si è trovato la scrivania spostata in un’altra stanza, la più lontana dallo studio privato del premier. Il piano non poteva a quel punto più essere rimandato ed è stato molto semplice, con Starmer che, pressato da McSweeney, si è detto disposto ad attuarlo velocemente: addossare a Gray tutta la colpa dei disastri d’immagine del primo ministro. Un leader che, pur avendo una maggioranza monstre alla Camera dei comuni grazie al sistema elettorale inglese, resta il premier eletto con la più bassa percentuale di voto popolare di sempre alle urne. E mentre il Mondo s’interroga su cosa potrebbe accadere con un probabile quanto imminente conflitto ad ampio raggio in Medio Oriente, in Gran Bretagna, una delle potenze militari più importanti della Nato, si assiste a vendette personali tra alti papaveri e alla restituzione di tailleur e biglietti per un concerto.
Aggiornato il 09 ottobre 2024 alle ore 09:59