Il più a sinistra tra tutti i presidenti dello Sri Lanka rischia di ripetere errori del passato e di proseguire con politiche fallimentari
L’elezione di Anura Kumara Dissanayake – 55 anni, una laurea in Fisica, piuttosto carismatico e buon oratore – come nuovo presidente dello Sri Lanka ha segnato un momento di svolta nella politica del suo Paese. Il neoeletto, leader del Janatha Vimukthi Peramuna (Jvp), che tuttora viene definito un partito marxista-leninista e che tra gli anni Settanta e Ottanta partecipò a due sanguinose insurrezioni armate contro il governo cingalese, è arrivato al potere, al termine di un’elezione tra le più combattute di sempre, con la promessa di cambiamento e riforma.
Tuttavia, la sua prima mossa significativa, ovvero lo scioglimento del Parlamento, annunciata il 25 settembre 2024, ha sollevato dubbi profondi sul suo reale obiettivo di attuare un cambiamento democratico e inclusivo e fatto emergere piuttosto negli osservatori attenti una volontà diretta a consolidare il potere. Oltre a sciogliere l’Assemblea, nei suoi primi giorni da capo dello Stato ha anche nominato come primo ministro la sua alleata politica Harini Amarasuriya, che era già una dei parlamentari della coalizione del presidente. In un Paese già segnato da una crisi economica profonda, tali azioni rischiano di compromettere ulteriormente la stabilità politica e la fiducia nelle istituzioni.
Lo Sri Lanka, l’isola a sud dell’India, popolato da circa 22 milioni di persone, sta vivendo una delle crisi più gravi della sua storia recente. La situazione economica infatti resta critica dopo il default del 2022, nonostante si intraveda un accordo con i creditori per la ristrutturazione del debito estero, pari a circa 12 miliardi di euro. L’inflazione ha raggiunto livelli drammatici ed è ancora in aumento la disoccupazione e pure la povertà. La stabilità economica rimane fragile anche se sono state avviate alcune riforme economiche con il supporto del Fondo monetario internazionale, che dovrebbero approdare a una crescita del 2,2 per cento nel 2024, fermo restando che l’accordo sul debito sarà cruciale per attrarre nuovi investimenti e ridare fiducia agli attori economici internazionali.
Di fronte a tale situazione, Dissanayake ha proposto un ritorno a politiche economiche che prevedono un maggiore controllo statale e una redistribuzione delle risorse. Ma la storia ha dimostrato che siffatte politiche non solo falliscono nel tentativo di creare ricchezza, ma peggiorano anche le condizioni di vita della popolazione, limitando le libertà individuali ed economiche. Del resto, sciogliere il Parlamento in una fase così critica appare come un tentativo di rafforzare il controllo esecutivo, riducendo lo spazio per il dibattito democratico e per il contributo delle forze politiche che potrebbero proporre un percorso alternativo. Questo non è solo un problema politico, ma anche economico: una governance centralizzata e autoritaria soffoca l’imprenditorialità, scoraggia gli investimenti e impedisce la crescita economica sostenibile.
Il futuro dell’ex Ceylon, ora Repubblica democratica socialista dello Sri Lanka, dipende pertanto dalla capacità del suo governo di riconoscere che il centralismo e l’interventismo statale non sono la risposta ai problemi della Nazione. Ciò di cui essa ha realmente bisogno è una liberalizzazione radicale dell’economia, un taglio netto alla burocrazia, e una riduzione del ruolo dello Stato nella vita economica dei cittadini. La deregolamentazione, la riduzione delle imposte e l’incentivazione dell’iniziativa privata sono infatti le chiavi per creare opportunità, rilanciare la crescita e ridare fiducia ai cittadini e agli investitori. A fronte di ciò, il nuovo presidente, nonostante i proclami della vigilia e i messaggi di riforma, rappresenta in pratica il rischio di un ritorno a un modello fallimentare di economia statale controllata, in cui l’interventismo pubblico è assurto a regola di gestione. In un momento in cui il Paese asiatico ha bisogno di maggiore libertà, egli sembra voler rinchiudere l’economia e la società in una morsa di regolamentazioni e controllo. È una strada che non solo soffoca la creatività e l’innovazione, ma perpetua la dipendenza dei cittadini dal potere politico, riducendo la loro capacità di prosperare attraverso il libero mercato.
Invero, come la teoria economica e la storia hanno sempre insegnato, la vera ricchezza si genera solo quando gli individui sono liberi di agire secondo i propri interessi, in un contesto di mercato aperto e competitivo. Lo Sri Lanka, per uscire dalla crisi, ha bisogno di abbracciare il capitalismo di mercato, riducendo l’influenza dello Stato e lasciando che siano le forze del mercato a guidare la ripresa economica. L’espansione del settore privato, la promozione della concorrenza e la protezione della proprietà privata sono gli strumenti necessari per riportare il Paese sulla strada della crescita.
In conclusione, la presidenza di Dissanayake si profila come un’occasione mancata per il suo Paese. Invece di guardare al futuro e sfruttare le opportunità offerte da un’economia di mercato, rischia di restare prigioniero di ideologie stataliste superate e inefficaci. Come ha scritto Ludwig von Mises: “Ogni passo lungo la via dell’interventismo ci avvicina al socialismo e alla perdita delle libertà individuali”. Solo attraverso la libertà economica si può generare vera prosperità, e lo Sri Lanka non fa di certo eccezione.
Aggiornato il 30 settembre 2024 alle ore 10:15