Gli accordi di Abramo e l’Iran

Gli accordi di Abramo sono più forti e stretti che mai: sono forse la chiave della guerra e della pace a Gaza e in Libano

È lecito pensar male di Donald Trump, eppure forse una buona azione politica l’ha compiuta. Si tratta degli accordi di Abramo del 15 settembre 2020, coi quali si siglò la pace tra Israele e il mondo sunnita – inclusa l’Arabia, che non poteva aderire ufficialmente, se non per mezzo degli Emirati Arabi e del Bahrein. L’accordo nacque dall’interesse di contrastare l’espansionismo iraniano, allora notevole non solo in Africa e America Latina (Venezuela e Brasile). Ogni ombra di rivolta interna era soffocata dal regime di Teheran, mentre i programmi di riarmo nucleare e missilistico tormentavano i sauditi come gli emirati. Non sappiamo se gli accordi prevedessero anche un “ombrello difensivo”, fornito da Israele e Stati Uniti nel caso di una guerra interconfessionale tra le due sponde del Golfo Persico. Per giunta, pochi mesi prima – il 28 aprile 2020 – la tribù sciita degli Houthi aveva preso il controllo della Repubblica araba dello Yemen ad eccezione del Marib, questo nonostante l’intervento panarabo a sostegno delle tribù sunnite, maggioritarie.

C’era, dunque, più di una ragione perché gli arabi pensassero a una nazione come Israele, già coinvolta in una guerra non dichiarata contro l’Iran. L’esito positivo delle precedenti intese tra Israele, l’Egitto e la Giordania, era un altro tassello per giungere a un accordo che fu comunque clamoroso in tutto il mondo, tranne per un’Europa ancora innamorata del gas russo e alquanto dormiente di fronte all’Iran khomeinista, che pure è in grado di raggiungere l’Italia coi suoi missili.
Gli accordi di Abramo sono figli del rifiuto palestinese di aderire al progetto di pace con Israele proposto da Trump (“Peace to Prosperity”), che in effetti prevedeva condizioni pesanti per l’Anp: controllo fisico del 30 per cento della Cisgiordania e l’utilizzo di forze di polizia e magistratura israeliane.

Dopo il fallimento dell’intesa, il genero di Trump, Jared Kushner, cominciò a pianificare la pacificazione coi sunniti della penisola arabica, mentre anche altre nazioni – come il Marocco – ammorbidivano la loro intransigenza nei confronti di Israele. Sul quarto anniversario degli accordi di Abramo ha scritto un articolo Meir Ben Shabbat, direttore di Misgav, l’Istituto per la sicurezza e la strategia israeliane, che ha avuto un ruolo chiave proprio nei negoziati degli accordi di Abramo, oltre ad aver diretto alcuni dipartimenti dell’Agenzia di sicurezza israeliana Shin Bet. L’articolo è utile a capire quali siano i soggetti coinvolti nella guerra non dichiarata tra Israele e l’Iran, e soprattutto quale sia il ruolo dei sunniti d’Arabia nel conflitto tra Israele e l’Iran coi suoi proxy. Sembrerebbe che dietro Israele non ci siano solo gli Stati Uniti (a stento) e parte dell’Europa (quasi per niente).

Il titolo è indicativo: “Gli accordi di pace continuano a diventare più stretti”. La terribile guerra scatenata da Hamas il 7 ottobre 2023 è stata anche “un test non solo sulla forza militare israeliana ma anche sulle relazioni col mondo arabo e musulmano”. Un mese dopo l’attacco, rappresentanti di quelle nazioni si incontrarono in Arabia Saudita, rilasciando una dichiarazione, verbale e non sostanziale, di sostegno ai palestinesi. Mentre Gerusalemme attuava il piano per distruggere definitivamente gli armamenti e le forze militari di Gaza, gli accordi restarono intatti. Il presidente della Uae, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan accolse il presidente di Israele Isaac Herzog per un vertice della Cop28, la 28ª conferenza Onu sui cambiamenti climatici, che si è svolta tra novembre e dicembre del 2023 a Dubai. Mentre i combattimenti continuavano, il ministro israeliano con deleghe su economia ed energia visitava gli Emirati incontrandosi con i suoi colleghi locali. A questi dati, articolo Meir Ben Shabbat aggiunge: “Sempre in quel periodo il Comandante in capo dell’Idf partecipava a un summit nel Bahrein, e una delegazione di rabbini israeliani si recava in visita ufficiale nel Marocco”.
Il ministro delle Finanze del Bahrein dichiarava di voler stringere le relazioni economiche tra i due Paesi, e lo stesso faceva il capo della missione diplomatica del Marocco. Un simbolo del continuo miglioramento delle relazioni è stato anche l’annuncio dell’Istituto di Tecnologia e Innovazione degli Emirati sull’apertura di un centro per l’Intelligenza Artificiale ad Haifa. Intanto il Governo del Marocco siglava con le industrie aerospaziali israeliane un progetto da un miliardo per un satellite. Mentre molte compagnie aeree europee ed americane cancellavano i loro voli su Israele, FlyDubai ed Etihad erano le uniche compagnie al mondo a effettuare voli e scali verso e da Israele. Il commercio tra Israele e la penisola arabica in questi mesi è cresciuto in maniera significativa.

Shabbat riporta alcuni dati notevoli: nella prima metà del 2024 è salito del +7 per cento il commercio con la Uae, mentre l’interscambio è cresciuto del +709 per cento col Bahrein, +64 per cento col Marocco, +53 per cento con l’Egitto. “Per quanto sembri assurdo, le relazioni economiche sono cresciute proprio a causa della guerra”, afferma Shabbat, che aggiunge: “Finora le compagnie europee inviavano i cargo con le loro merci verso le nazioni del Golfo nel porto di Beirut. Da Beirut venivano trasportate su camion verso gli Emirati. Poi è peggiorata la sicurezza nel Libano, dove Hezbollah accresceva la sua influenza. A quel punto le merci europee sono transitate da Suez, da dove attraversavano il Mar Rosso per risalire poi il Golfo Persico. Così, gli Houthi hanno cominciato a intercettare e attaccare le navi in transito nello stretto di Bab al-Mandab, tra Corno d’Africa e penisola arabica”. A tutti i normodotati a questo punto viene da pensare che l’Iran è guidato da pazzi suicidi.
Infatti, dopo che gli Houthi filoiraniani hanno bloccato il traffico via Suez, cosa è successo? Che i camion hanno cominciato a passare dal confine tra Israele e la Giordania (ed ecco perché l’Iran ha cercato di far saltare gli equilibri interni della Giordania), oppure dal confine tra Egitto e Israele. Israele in pratica “è oggi la strada più sicura per le comunicazioni via terra tra Europa ed Asia. Questo sarebbe stato impossibile prima degli accordi di Abramo”. In questi mesi Israele ha compreso – continua Shabbat – che “è importante incrementare e migliorare le sue infrastrutture stradali e portuali, dando lavoro a molte persone (inclusi i palestinesi)”. Lo stesso potrà avvenire in Giordania”.

Viene da aggiungere che la fine del conflitto palestinese-israeliano sarebbe una Mecca proprio per i palestinesi, che ancora non hanno capito che il commercio è utile alla pace e alla loro indipendenza nella libertà. L’incompetenza politico-economica di Recep Tayyip Erdoğan ha poi portato a una diminuzione dell’interscambio con Israele nel settore agricolo, che a quel punto si è sviluppato con l’Egitto. L’Egitto deve essere molto risentito con l’Iran e la sua sciagurata idea di bloccare Suez grazie alla tribù degli Houthi. Adesso i prodotti agricoli egiziani verso l’Arabia e il centro Asia passano via Israele. Mentre l’Iran punta tutto sul conflitto civile in Sudan, che lo vede come capofila del disastro, “le chances di accordi di pace ufficiali con l’Arabia Saudita non sono diminuite”. Forse questi accordi sono già in atto, sotto traccia, e sono una specie di lasciapassare per l’aggressiva guerra sui fronti di Gaza e Libano, una risposta durissima ai proxy iraniani, finora ignorata da coloro che oggi invocano una pace che darebbe un’altra chance a future guerre. Tutti speriamo nella fine dei conflitti, ma questa non si raggiunge con una pace ipocrita, che è il contrario dello stop alle guerre.

Aggiornato il 25 settembre 2024 alle ore 15:48