Francia: nessun estremista all’Eliseo

Tra qualche mese la Francia avrà un presidente estremista? Se crediamo alla profezia fatta dal famoso scrittore Michel Houellebecq nel suo romanzo del 2015 Sottomissione, la risposta deve essere . Nel libro, Houellebecq sostiene che i francesi hanno solo sette anni, cioè fino al 2025, per impedire agli estremisti islamici di prendere il potere in Francia attraverso le elezioni politiche, con l’aiuto di gruppi di sinistra e politicamente corretti. Con tono autoironico, raffigura un establishment suddiviso per clan assetati di potere, mentre molti francesi vedono la loro nazione alla deriva in acque sconosciute senza un’ancora. Deluso da un sistema che sembra essere diventato un mostro autoperpetuante, con Governi sempre più impotenti che promettono di più e mantengono di meno, il francese medio nel romanzo cerca un salvatore, un uomo forte che possa stanare i burocrati distanti, a Parigi e Bruxelles. Il “salvatore” può emergere da coloro che hanno “forti convinzioni”, uomini che non affrontano i problemi con il metodo “da una parte e dall’altra”. Fautore del “declino” occidentale, Houellebecq sostiene che gli europei non credono più in nulla e sono quindi destinati a perdere la lotta contro gli estremisti autoctoni che credono fermamente nel poco che sanno dell’Islam.

Mentre Houellebecq prefigurava la “sottomissione”, un altro veggente francese, Gilles Kepel, suggeriva una soluzione “andalusa”, un sistema in cui musulmani e i non musulmani condividono il potere, come avveniva “nell’età dell’oro” della Spagna. Beh, la cattiva notizia è che la Francia è ancora senza un Governo efficace e il prestigio dell’élite al potere è ai minimi storici. Inoltre, nonostante la breve parentesi positiva delle Olimpiadi, lo stato d’animo generale nel Paese resta cupo. La buona notizia è che, sebbene un blocco di gruppi di estrema sinistra, che sventolava bandiere di Hamas e si spacciava per difensori dell’Islam, abbia ottenuto il maggior numero di seggi, ma non la maggioranza, nell’Assemblea nazionale, i leader di questo blocco non sono stati abbastanza intelligenti da incassare le loro fiches e impadronirsi di una fetta del potere in un accordo con il presidente Emmanuel Macron. La loro ostinazione e l’aver sventolato la bandiera di Hamas in Parlamento hanno provocato una reazione anti-Islam contraria alle previsioni di Houellebecq e Kepel. Quindi, la Francia non avrà un presidente estremista l’anno prossimo.

Ciò che è accaduto è che i gruppi ultranazionalisti hanno colto l’occasione per presentarsi come l’unico baluardo contro un “Islam aggressivo”, con la parola d’ordine “immigrazione” che causa “insicurezza”. Solo una generazione fa la Francia, o almeno l’élite che creava opinioni, aveva un’immagine dell’Islam molto diversa. A quel tempo, l’Islam era visto come una disciplina profondamente spirituale, meglio spiegata da mistici come Ibn al-Arabi e poeti come Roumi. Resi ideologicamente senza casa dopo le rivelazioni sui crimini di Stalin, intellettuali di Sinistra come Michel Chodkiewicz, Vincent-Mansour Monteil, Helene Meyerowitz, Maurice Béjart e Roger Garaudy e centinaia di personaggi meno noti si convertirono all’Islam in reazione alla loro delusione nei confronti del comunismo. Studiosi come Henry Corbin, Louis Massignon, Jacques Berque e Maxime Rodinson hanno contribuito a creare un’immagine dell’Islam come una fede che rifugge il materialismo, promuove la frugalità, la pace e la fraternità. Corbin si è dilungato in liriche sull’importanza di ciò che ha chiamato l’immaginale nell’Islam, come alternativa all’esistenza reale e tangibile.

L’immagine soft creata dagli islamologi francesi è stata utilizzata dagli islamisti militanti, tra cui i Fratelli musulmani, i khomeinisti di Iran e Libano, i resti del Fronte islamico di salvezza algerino (Fis) e, più di recente, l’Isis, per presentarsi come “vittime” del colonialismo, dell’imperialismo e persino del razzismo ed evitare un esame approfondito, mentre costruivano feudi off-limits attorno a Parigi e ai centri provinciali per promuovere ideologie ben distanti da Ibn al-Arabi e Roumi, per non parlare di Sant’Aldebert e Meister Eckhart. Tra il 1980 e il 2020, lo Stato francese ha speso più di 30 miliardi di dollari nelle sue banlieue “islamiche” nella speranza di prevenire ciò che Macron definisce “separatismo”. Il progetto, realizzato con entusiasmo da ministri come Bernard Tapie e Jean-Louis Borloo, ha prodotto un effetto opposto a quello voluto. Ha aiutato i qaids (capi) locali a creare una clientela più ampia e a rafforzare il loro controllo sui sobborghi “separatisti”.

Macron a volte descrive questi “separatisti” come “amish di Francia”. Gli amish sono un gruppo religioso protestante, le cui maggiori concentrazioni si trovano in Pennsylvania, che cerca di vivere un’esistenza separata ai margini del moderno stile di vita americano. Tuttavia, ci sono enormi differenze tra gli amish e i “separatisti” francesi: gli amish non cercano di imporre il loro stile di vita agli altri. I “separatisti” non rappresentano l’unica minaccia alla cultura e allo stile di vita francese. La loro comparsa ha incoraggiato una forte reazione sotto forma di “uniformismo” da parte di gruppi che fanno sempre più sentire la loro voce e che desiderano imporre un modo di essere francese che vada bene a tutti.

La re-interpretazione mistica dell’Islam da parte dell’élite francese era sbagliata, così come non è accurata la sua nuova interpretazione come “minaccia esistenziale”, per dirla con le parole di Éric Zemmour. La prima re-interpretazione dava per scontato che ai musulmani francesi fosse dovuto qualcosa e ha generato una politica basata sul senso di colpa, usando la corruzione e le scuse come strumenti di una riconciliazione immaginaria. La seconda fa il gioco della piccola minoranza di estremisti radicali che dividono il mondo in “loro e noi”. Entrambe le re-interpretazioni promuovono proprio quel “separatismo” da cui Macron mette in guardia.

(*) Tratto dal Gatestone Institute

(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada

Aggiornato il 19 settembre 2024 alle ore 09:33