Clima da Guerra fredda? Inquietanti relazioni tra Pechino e l’Africa

La Guerra Fredda non si è conclusa con il crollo del muro di Berlino, come si legge sui manuali di storia, ma continua ancora oggi sotto nuove forme e strategie. Se una volta il centro del comunismo e dell’agenda antioccidentale era situato a Mosca, oggi si è spostato a Pechino. La Cina, infatti, pur essendo diventata un colosso economico globale, continua a portare avanti un progetto ideologico e politico che mira a contrastare l’ordine occidentale, sfruttando l’influenza economica e le relazioni diplomatiche per promuovere il suo modello di governance autoritaria e socialista nel resto del mondo, in particolare in Africa.

Dal 4 al 6 settembre, si è tenuta a Pechino la nona edizione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (Focac), che ha riunito i leader africani e il presidente cinese Xi Jinping per discutere circa il futuro della collaborazione sino-africana. Xi Jinping ha enfatizzato il tema dell’incontro: “Unire le forze per promuovere la modernizzazione e costruire una comunità con un futuro condiviso”, proponendo una visione di cooperazione tra Cina e Africa per il raggiungimento della modernizzazione e della prosperità condivisa.

I leader africani, sebbene lusingati dall’accoglienza, erano principalmente interessati a questioni concrete, quali la cancellazione o la rinegoziazione dei debiti e le condizioni per nuovi finanziamenti. Tuttavia, le loro aspettative sull’alleggerimento del debito sono state gravemente deluse, poiché la Cina ha annunciato – quanta grazia! – ulteriori finanziamenti per 50,7 miliardi di dollari in nuovi investimenti e linee di credito, invece di ristrutturare il debito esistente. Si tratta della tipica “trappola del debito”, portata avanti dal governo cinese ormai da decenni e che consiste nella concessione di prestiti esorbitanti a Paesi in via di sviluppo del Secondo e Terzo Mondo che difficilmente saranno in grado di ripagare nell’immediato e spesso anche nel remoto futuro. Secondo i dati della Johns Hopkins University, dal 2000 al 2019 il credito cinese nei confronti dei soli Paesi africani ammontava a 153 miliardi di dollari. Gli interventi finanziati, almeno per l’80 per cento del totale, riguardano infrastrutture: trasporti, energia, comunicazioni, acqua e simili.

Non solo: come dimostrato da autorevoli studiosi, che hanno analizzato 100 contratti tra soggetti cinesi pubblici e governi di 24 Paesi in via di sviluppo in Africa, Asia, Europa dell’Est, America Latina ed Oceania, la Cina vincola fortemente gli Stati debitori in maniera tale da minimizzare il rischio di non ottenere la restituzione dei propri crediti, tutelare i propri interessi pubblici e soprattutto assicurare la massima riservatezza sul contenuto degli stessi contratti e delle clausole ivi inserite.

La Cina, pur puntando a consolidare relazioni strategiche con l’Africa, è evidentemente motivata principalmente da interessi economici  ̶  come l’acquisizione di risorse minerarie essenziali e il sostegno alla propria economia e al proprio commercio internazionale  ̶  e politici: l’esportazione di regimi potenzialmente alleati in caso di conflitto su larga scala, prospettiva non proprio peregrina dei nostri tempi. La Cina, inoltre, offre un modello di cooperazione che, a differenza dell’Occidente, non impone condizioni legate a diritti umani o governance democratica, cosa che le permette di presentarsi come un partner più flessibile e amichevole per gli Stati africani.

Gli africani dovrebbero comprendere, per liberarsi da questa spada di Damocle, che il vero problema dell’Africa non è l’imperialismo occidentale, come cercano di far credere i cinesi, ma il socialismo in tutte le sue forme. Che si tratti del comunismo cinese o delle sue varianti democratiche e attenuate proposte anche da numerose potenze occidentali, questi modelli politici hanno costretto il continente africano a rimanere povero, nonostante la decolonizzazione, teatro di guerre che hanno spesso fatto gli interessi di attori geopolitici ben più grandi. L’Africa ha visto il susseguirsi di regimi militari e di matrice socialista, i quali, legati a un concetto di Stato forte, hanno limitato la libertà economica e politica dei propri popoli.

Ecco il problema! Il vero segreto, dunque, per la prosperità del continente africano non risiede nell’adozione di nuovi modelli di dipendenza, ma nell’amore per la libertà, che permette di valorizzare le risorse locali, promuovere l’iniziativa privata e costruire un futuro basato sulla responsabilità individuale e la cooperazione volontaria. Ma chi potrà mai assolvere a questo annoso compito di vera liberazione dell’Africa, oggi?

Aggiornato il 18 settembre 2024 alle ore 20:13