L’imperialismo di Xi: il mondo si tinge di giallo

Chi è un “traditore”? Per il Governo cinese, va considerato come tale qualunque cittadino della Repubblica Popolare che osi mettere in discussione il modello di governance del Partito comunista cinese (Pcc). Nell’odierna Cina è considerato “antipatriottico” persino condividere il punto di vista straniero su principi come quelli di buongoverno, corretta condotta economica e Stato di diritto. Ne consegue a mo’ di corollario che qualsivoglia critica al regime proveniente dall’esterno sia considerata una forma di attacco alla sovranità nazionale del Paese. Questa configurazione bellicista del Dragone deriva dalla postura imperialista adottata fin dal 2016 da Xi Jinping, che ha deciso di mettere la Cina al “centro degli affari mondiali”, intendendosi come tali la politica estera per la leadership del Global South in funzione antioccidentale, e la supremazia tecnologica nell’ambito della globalizzazione dei mercati mondiali. Il successo travolgente della Cina in questa sua “pathway to modernisation” (la “strada cinese per la modernizzazione”) è stata favorita dalla progressiva “ancillarizzazione” della Russia (nel senso della sua subalternità alle forniture cinesi dual use, soprattutto nel settore informatico), a causa della guerra in Ucraina e, soprattutto, dal rifiuto da parte della maggioranza dei Paesi del Sud globale di riconoscersi nel modello democratico occidentale, fondato sullo Stato di diritto. Al centro di questa ideologia politico-economica cinese si colloca il diritto di ogni nazione a scegliersi la propria forma di Governo, e l’obbligo di non ingerenza negli affari interni di un altro Paese da parte di qualsivoglia potenza estera, o organizzazione internazionale.

Xi ama definire il suo modello di governance del partito unico come “efficiente, equo e dignitoso”, il che equivale a dire ai suoi interlocutori occidentali che un Governo competente, il quale garantisca ai suoi cittadini ordine e uguaglianza, vale bene la rinuncia a un po’ di libertà, come quella politica e di espressione, in cambio del doppio miracolo dello sviluppo economico e della stabilità sociale a lungo termine. E poiché questa cosa di fatto funziona, ne deriva un forte scollamento a livello di relazioni internazionali tra Cina e Usa, basate in precedenza su intese reciproche, sul piano sia politico che commerciale. Stando alle parole e ai fatti fin qui mostrati da Xi Jinping, ne viene fuori una Cina così potente e sicura di sé, tale da non nascondere più al resto del mondo il suo disegno di diventare nel prossimo futuro la prima potenza mondiale, che nessuno avrà più l’ardire di minacciare o di sfidare in campo aperto. Per acquisire un simile status la Cina è fermamente intenzionata a rimodellare alle radici l’ordine mondiale fondato sulla Pax americana e sulla supremazia dell’Occidente, facendo valere il suo peso specifico in tutte le istanze internazionali come l’Onu, per sfidare, ridefinire o discreditare tutte quelle norme e regole che possano rallentare o impedire la sua ascesa. E il suo principale nemico è oggi la tendenza bipartisan della politica americana a bloccare i progressi cinesi in ogni campo (tecnologico, economico o geopolitico), con la motivazione di dover proteggere la sicurezza nazionale dell’America. E qui hanno gioco facile le rimostranze dei dirigenti cinesi che accusano di razzismo l’Occidente in declino, per non sapere tollerare la sfida alla pari da parte di un altro grande Paese asiatico.

Ed è proprio il Global North che deve vedersela con il crescente successo di immagine della Cina presso i così detti “Paesi non-allineati” africani e del sud-est asiatico, e di altre nazioni del Sud globale, che si ispirano al modello cinese per affrancarsi dalla povertà assoluta. Pechino, puntualmente, risponde all’appello, offrendo loro l’accesso a nuovi mercati mondiali, investimenti e costruzione di infrastrutture, con modalità che costituiscono un’alternativa radicale allo “stile coloniale” praticato dalle potenze occidentali. La perdita di credibilità dell’influenza e del modello occidentale presso la maggior parte dei Paesi del Global South, è chiaramente visibile nel fastidio che le loro diplomazie provano nel corrispondere agli incessanti appelli di condanna promossi da Europa e Usa, che chiedono loro una esplicita presa di posizione per la repressione delle minoranze etniche da parte di Pechino e per il sostegno offerto dalla Cina alla Russia nella guerra in Ucraina. Puntualmente, gli interpellati controbattono evidenziando gli abusi commessi dagli americani durante le guerre in Iraq e in Afghanistan, per non parlare del sostegno offerto da Washington a Israele nel recente conflitto di Gaza. Del resto, come si fa a non concedere la “legittimazione da performance” al Governo cinese, quando in pochi anni si sono sviluppate realtà urbane super organizzate di decine di milioni di abitanti, con grattacieli e snodi autostradali ultramoderni e linee ad alta velocità, che collegano le più importanti città del Paese, collocate anche a migliaia di chilometri di distanza?

Come si fa a nascondere al resto del mondo che la Cina è diventata più benestante nel suo complesso, facendo in modo che nessuno restasse indietro, come dimostra la crescita esponenziale della rete stradale nazionale, che collega con tunnel chilometrici e viadotti i centri montani alle grandi infrastrutture di trasporto, riducendo notevolmente i tempi di percorrenza al fine di un loro armonico sviluppo? Il benessere dei cittadini nelle grandi aree urbanizzate è notevolmente aumentato con l’abbattimento dell’inquinamento; la costruzione di nuovi parchi perfettamente mantenuti; la pulizia dei corsi d’acqua, e così via, per permettere ai cinesi di passare serenamente il loro tempo libero giocando a scacchi o portando a spasso le loro famiglie. Ma è davvero tutto oro quel che riluce, alla luce della crescente crisi economica e di quella occupazionale in Cina? Al prossimo aggiornamento, per capire meglio.

Aggiornato il 02 settembre 2024 alle ore 13:58