Senegal: la questione del velo islamico

La “questione” del velo islamico, oltre che rappresentare l’appartenenza religiosa, è fonte di dibattitti soprattutto in Europa e in Occidente, in quanto in molti contesti sociali è utilizzato come rigida “identificazione” che spesso crea una sorta di diaframma con chi non lo indossa, sia nel caso di correligionarie, come per appartenenti a un’altra fede. In alcuni “ambiti geografici occidentali” è anche imposto da comunità musulmane con tendenze più radicali, con lo scopo di cercare di evitare una “contaminazione” con altre realtà religiose considerate corrotte e corruttive. Tuttavia, è anche consueto vedere che questo abbigliamento, a volte fonte di discussione pure nel mondo islamico, resta accettato e sobriamente indossato senza fine di ostentazione, permettendo facilità integrative interreligiose.

Il Senegal è uno degli Stati africani che, anche se prevalentemente popolato da musulmani, sia per tradizione che per cultura ha fatto della laicità il suo punto di forza sociale, integrando senza particolari difficoltà l’articolazione religiosa del Paese. Infatti, la presenza di numerose e prestigiose scuole cattoliche frequentate anche da musulmani è un esempio non facilmente riscontrabile nei Paesi arabo-africani. Tuttavia, il capo del Governo del Senegal, Ousmane Sonko in una dichiarazione di inizio settimana ha voluto sottolineare la contrarietà circa il fatto che alcune scuole impedirebbero l’uso del velo ai propri studenti; ma Moustapha Guirassy, ministro dell’Istruzione, ha raccontato di non essere a conoscenza di un simile divieto nelle istituzioni formative del Paese.

La questione è scaturita quando il capo del Governo, in occasione di una premiazione agli studenti senegalesi più meritevoli, ha ravvivato il tema dell’utilizzo del velo islamico nelle scuole francofone, evidentemente laiche, e dirette da cattolici. Inoltre, il tema è stato forse strumentalmente innescato dalla vincitrice del premio, che velata, ha sostenuto la difficoltà degli studenti arabi (ma sicuramente musulmani) di integrarsi nei percorsi curricolari tradizionali, auspicando allo stesso tempo una maggiore inclusione. Dopo questa affermazione, Sonko ha estratto dal “cilindro” l’Europa con il suo modello di vita – aggiungerei troppo laico – e le tradizioni del Senegal, quindi la non disponibilità a tollerare discriminazioni sul velo anche nelle scuole non musulmane. La sua dichiarazione è stata la seguente: “Quando a una bambina, che indossa il velo, viene vietato l’ingresso in una scuola, penso che non sia giusto. Questi atteggiamenti devono finire. Lo studente che indossa il velo e quello che non lo indossa devono godere degli stessi diritti ed essere trattati su un piano di parità”.

Comunque, la dichiarazione di Sonko, anche se applaudita dai presenti al Grand National Theatre di Dakar dove si celebrava la premiazione, è stata disapprovata dai capi cattolici del Paese e dagli oppositori politici. I cattolici hanno interpretato la dichiarazione del capo del Governo come un attacco all’autonomia delle loro istituzioni. Così il parroco dell’isola di Gorée, André Latyr Ndiaye, tramite una ironica missiva ha voluto lanciare una stoccata a Sonko, scrivendogli: “Mio caro giovane politico neopromosso, Lei è stato eletto per la lotta contro il caro vita, contro la povertà, contro la disoccupazione giovanile, ma non per la lotta per Dio, o per la religione”. Una lettera dal contenuto scarsamente ecumenico che ha avuto il merito di attivare un acceso dibattito sui social senegalesi.

Sono seguite altre prese di posizione come quelle del presidente del Cnl, Consiglio nazionale dei laici, Philippe Abraham Birane Tine, che raccoglie associazioni e movimenti cattolici, il quale ha sostenuto la libertà di lavorare delle scuole cattoliche private, ricordando che questi prestigiosi istituti di istruzione hanno dato al Senegal i suoi migliori dirigenti, molti dei quali erano musulmani. Infatti, ha indicato che dei quasi centoventimila studenti iscritti solo il ventotto per cento sono cattolici. In pratica, questi dati sugli studenti musulmani e cristiani che frequentano le scuole cattoliche dimostrano, come accade anche in altri Stati arabi, che una certa classe di famiglie musulmane ha fiducia in istituti dove viene impartito l’insegnamento, ma meglio sarebbe dire “educazione laica” cattolica.

Per comprendere meglio la questione, bisogna comunque fare riferimento a quanto scritto nell’introduzione della Costituzione senegalese ereditata dagli ex colonizzatori francesi, una Carta che si distingue per la sua “sintonia” tra il mondo politico e quello religioso. Infatti, Ndèye Astou Ndiaye, professore di Scienze politiche alla Cheikh-Anta-Diop Università di Dakar, ha sottolineato che la laicità senegalese si basa sull’inclusione che fa forza “non sulla separazione tra affari statali e religiosi, perché l’ordine sociale non è pensato in termini di esclusione, ma di inclusione”.

Per farla breve, la questione era iniziata nel 2019, nel caso definito “Giovanna d’Arco”; l’istituzione Sainte-Jeanne-d'Arc, nata nel 1939 e collocata sotto la supervisione della congregazione delle suore di Saint-Joseph de Cluny, in Francia, è una rinomata scuola cattolica privata di Dakar che vietò l’ingresso, il primo giorno di scuola, a 24 studentesse con il niqāb. In pratica, veniva indicato che il nuovo regolamento interno imponeva agli studenti, sia femmine che maschi, di avere il capo scoperto.

Tuttavia, è uno dei rari casi, dall’indipendenza del 1960, che in Senegal, dove oltre il novanta per cento della popolazione è musulmana, si sia creata una discussione su basi religiose. Ricordo che il primo presidente era cattolico – Léopold Sédar Senghor (1960-1980) – quando la minoranza cristiana toccava appena il cinque per cento. Comunque, il caso “Giovanna d'Arco” si è spento grazie all’intervento delle autorità e del Vaticano. Così, le studentesse velate sono state riammesse ma utilizzando una sciarpa fornita dall’istituto cattolico.

A seguito dell’intervento del Vaticano, il ministro Moustapha Guirassy ha ribadito che il dibattito non ha carattere religioso ma di conformità alle regole interne delle scuole. Aggiungendo: “Immaginate le scuole coraniche che rifiutano gli studenti che non sono velati o che portano una croce! Tuteliamo tutti gli studenti”. Una vicenda che, in conclusione, sembra più una querelle che una “questione religiosa”, ricordando che a Gaza era presente una scuola cattolica, la Sacra Famiglia, che prima di essere distrutta ha insegnato a cristiani e musulmani, poi ha accolto i rifugiati colpiti dai bombardamenti. La “questione del velo o non velo” pare sia più gravosa in Occidente che in Africa.

Aggiornato il 09 agosto 2024 alle ore 12:16