Le inutili votazioni in Venezuela

Sovente una miope retorica, in mancanza di concezioni relativistiche, condanna i colpi di Stato, visti come sistema di avvicendamento politico, come una violazione della volontà popolare. Ma, osservando le dinamiche politiche che si sviluppano dove si celebrano osannate elezioni nelle quali la massa è illusa di essere partecipe, si nota che spesso le votazioni sono una maschera di legittimità che serve per coprire una imposizione governativa lontana dalla realtà dei consensi. Questo sistema di illusione di massa è molto più frequente di quanto si possa pensare, e appartiene anche a quelle che vengono definite “grandi democrazie”. Non indugiando su questioni di “normative elettorali” che mandano nei Parlamenti soggetti con scarsi consensi costruiti con artifici, e privi di competenze, le elezioni in Venezuela hanno dato l’ennesima dimostrazione dell’inutilità delle votazioni in certi ambiti. Tuttavia, portare la massa alle urne una utilità la crea a livello sociale: quella di far credere alla maggior parte degli elettori che il proprio il voto abbia inciso sulla designazione di chi dovrà gestire il potere.

Così il 28 luglio, il venezuelano Nicolás Maduro, presidente uscente, è stato eletto per un terzo mandato di sei anni. I dati comunicati dal Cne, Consiglio elettorale nazionale, organismo controllato dal potere, hanno confermato che Maduro ha ottenuto il 51,4 percento dei voti, contro il candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia che ha raccolto il 44,2. Ricordo che il settantaquattrenne González Urrutia ha sostituito in corsa la leader dell’opposizione María Corina Machado, dichiarata ineleggibile (secondo i sondaggi d’opinione in testa fino all’inizio delle votazioni). Il Cne non ha reso noti immediatamente i dati di ciascuno dei trentamila seggi elettorali, ma il presidente del Consiglio elettorale si è affrettato a comunicare che il risultato è “irreversibile”.

Prima del 28 luglio i rappresentanti dell’opposizione avevano dichiarato che i conteggi raccolti dai rappresentanti della campagna elettorale mostravano González Urrutia in vantaggio su Maduro, il quale a caldo ha voluto affermare che la sua rielezione è stata un trionfo di pace e stabilità. E ha ribadito le sue dichiarazioni fatte durante la campagna elettorale, secondo cui il sistema di voto è stato trasparente e la volontà popolare rispettata. Il sessantunenne Nicolás Maduro è salito al potere per la prima volta nel 2013, dopo la morte per malattia del suo mentore, Hugo Chávez, socialista. Le accuse che gli vengono rivolte fanno riferimento alla catena di arresti dei suoi detrattori fatti durante la sua presidenza e alla persistente persecuzione che esercita sui membri dell’opposizione. Inoltre, gli viene addebitato di non essere riuscito a frenare una grave e annosa crisi economica che ha portato almeno sette milioni di venezuelani a emigrare; considerando che la popolazione della nazione supera di poco i ventotto milioni.

Durante la lunga e ampia campagna elettorale González Urrutia ha promesso di porre fine alla crisi economica, ma conscio che le frodi sulle schede sarebbero state molte, ha esortato i suoi sostenitori e i cittadini a vigilare nei loro seggi elettorali nelle ore decisive dello spoglio. María Corina Machado e analisti venezuelani come Phil Gunson, dell’International Crisis Group per il Venezuela, hanno affermato, anche alla stampa internazionale, che i conteggi comunicati dal Cne non corrispondono ai consensi espressi. Il risultato che l’opposizione sostiene essere quello corretto è molto vicino a ciò che i sondaggi d’opinione hanno affermato negli ultimi mesi, cioè oltre il sessanta per cento a favore di González Urrutia. Ricordo che le elezioni di domenica 28 luglio sono state il frutto di un accordo raggiunto lo scorso anno tra Governo e opposizione. Un accordo che ha condotto gli Stati Uniti a moderare, a tempo determinato, le sanzioni imposte dopo la rielezione di Maduro nel 2018. Anche quella tornata elettorale è stata considerata una farsa, non solo dagli Stati Uniti ma anche da decine di nazioni occidentali e latinoamericane.

Tuttavia le sanzioni Usa sono poi state imposte nuovamente dopo che Maduro ha rinnegato gli accordi concordati. Su questa linea Antony Blinken, segretario di Stato americano, ancora in visita in Giappone, ha affermato che Washington auspica che i voti vengano conteggiati in modo equo e trasparente, esprimendo preoccupazione per la frettolosa dichiarazione di vittoria di Maduro. Anche Josep Borrell, capo della diplomazia dell’Unione europea, dopo la proclamazione della vittoria di Maduro ha chiesto trasparenza nel processo elettorale in Venezuela, chiedendo al Consiglio elettorale nazionale il conteggio dettagliato dei voti e l’accesso ai verbali dei seggi elettorali. In realtà, già le diplomazie internazionali più geograficamente vicine hanno espresso certezze sulla falsità delle elezioni. Infatti, domenica sera, tramite un comunicato congiunto, Ecuador, Argentina, Perù, Panama, Paraguay, Uruguay, Repubblica Dominicana, Costa Rica e Cile, hanno ritenuto di manifestare la necessità di avere garanzie sui risultati elettorali, al fine di riconoscere la vittoria di Maduro. Inoltre, il Cile del presidente Gabriel Boric ha affermato che la rielezione di Nicolás Maduro è difficile da credere, e che non riconoscerà alcun risultato che non sia verificabile. Così la Costa Rica, che tramite il suo presidente, Rodrigo Chaves Robles, ha dichiarato di respingere l’annuncio della vittoria fraudolenta del presidente venezuelano.

L’avvicendamento al potere in una nazione fa scalpore quando è un militare africano a gestire un colpo di Stato, un po’ più diluita quando la manipolazione dei risultati elettorali avviene tramite pseudo democratiche elezioni. In ambo i casi non è la volontà del popolo a determinare chi governa, fattore che analizzato con maggiore profondità non è difficile riscontrarlo, con varie articolazioni, anche in contesti dove la volontà popolare viene ostentata come determinante per la gestione di una nazione. Comunque, Maduro, che già a maggio aveva ritirato l’invito all’Unione europea ad assistere al processo elettorale, ha interdetto all’ultimo momento la presenza di numerosi osservatori internazionali, tra questi quattro ex presidenti dell’America Latina, il cui aereo era stato sequestrato venerdì a Panama. Inoltre, durante la campagna elettorale, aveva minacciato un probabile bagno di sangue e una guerra civile, magari provocata dai fascisti, se gli esiti delle elezioni sarebbero stati contestati. Ma sappiamo che il presidente ha potuto muoversi in questo modo spregiudicato perché può contare, per ora, sull’appoggio dell’esercito e della polizia, come un golpista africano. Oltre ad avere il pieno sostegno di Vladimir Putin, questione che apre altri scenari di riflessioni geostrategiche.

Aggiornato il 30 luglio 2024 alle ore 13:27