Hezbollah sta devastando il nord di Israele. Le riserve naturali, i pascoli, i campi e i frutteti stanno andando a fuoco. Le basi militari, tra cui diversi asset strategici, stanno subendo gravi danni. Più di un migliaio di abitazioni sono state distrutte. Le aziende e le imprese chiudono i battenti. E circa 80mila sfollati israeliani vivono in alberghi senza sapere quando potranno tornare a casa.
Nelle ultime settimane il gruppo paramilitare sciita ha intensificato notevolmente il ritmo e la letalità dei suoi attacchi lanciati contro l’Alta Galilea, la Galilea occidentale e le alture di Golan, oltre a estendere i suoi attacchi all’area del Monte Carmelo e alla Valle di Jezreel. Haifa, Acri e Tiberiade sono state tutte oggetto di attacchi missilistici, con droni e razzi. Mercoledì 12 giugno, durante la festività di Shavuot, Hezbollah ha lanciato più di 200 razzi verso Israele. Giovedì 13, ne sono stati lanciati più di un centinaio estendendo gli incendi, intensificando caos e distruzione.
Le Forze di difesa israeliane (Idf) sostengono che le azioni di Hezbollah non hanno rotto lo schema degli attacchi del tipo “tit-for-tat” (“occhio per occhio”) che il gruppo libanese e Israele si sono sferrati a vicenda negli ultimi otto mesi. Martedì 11 giugno, l’Aeronautica israeliana ha condotto un attacco aereo contro l’unità Nasser del comando meridionale di Hezbollah. L’unità Nasser è una formazione delle dimensioni di una divisione ed è responsabile delle operazioni di Hezbollah lungo il confine con Israele. Il comandante dell’unità, Taleb Sami Abdullah, e altri tre suoi miliziani sono stati uccisi nel raid. L’affermazione dell’Idf, secondo cui le possenti raffiche di missili, droni e razzi lanciate da Hezbollah il 12 e il 13 giugno, proseguite fino a venerdì 14, sono una tattica del “tit-for-tat”, rafforza la linea di Hezbollah secondo cui la sua massiccia aggressione è una reazione legittima all’assassinio di Abdullah. Quanto sostenuto dall’Idf è certamente controproducente. Ma non è questo il problema principale.
Il nodo principale di quanto asserito dalle Forze di difesa israeliane è che viene ignorata la logica strategica delle operazioni di Hezbollah, che non lancia attacchi in risposta a nessuna specifica operazione israeliana, ma lo fa meramente per raggiungere i propri obiettivi strategici. Hezbollah non è solo offensivo: sta conducendo una guerra strategica con chiari obiettivi a lungo e a medio termine. Il movimento sciita libanese ha iniziato a bombardare Israele con droni, razzi anticarro e missili l’8 ottobre 2023. Da allora ha continuato gli attacchi, intensificandoli lentamente. Lungi dall’essere effimere, le mosse di Hezbollah sono guidate da obiettivi finali. Da un assalto all’altro, il gruppo sciita impara di più su come penetrare le difese di Israele. L’escalation dei suoi attacchi è una funzione della sua curva di apprendimento.
CONSENTIRE IL CONTROLLO DI HEZBOLLAH SUL LIBANO
Quali sono gli obiettivi che Hezbollah intende conseguire con le sue raffiche di razzi? La meta finale del movimento sciita libanese è la stessa del suo padrone iraniano: l’annientamento di Israele. Ma Hezbollah ha altresì degli obiettivi intermedi. Il primo è quello di ottenere il controllo operativo sul nord di Israele. Tale controllo, secondo Hezbollah e l’Iran, costringerà Israele a capitolare sul campo di battaglia strategico. Se i razzi anticarro, i droni e i missili lanciati dal gruppo libanese riusciranno a vanificare le capacità dello Stato ebraico di difendere il nord del Paese, allora Israele sarà costretto a capitolare sulla questione della sovranità formale al tavolo dei negoziati per ottenere la “tranquillità”.
Lo specifico “accordo” che Hezbollah intende raggiungere prevede la resa formale da parte di Israele della sua sovranità sul Monte Dov, una vasta area sulle alture del Golan che controlla tutto il nord di Israele, compresa la baia di Haifa. Hezbollah è in grado di portare avanti le proprie operazioni perché è protetto da una serie di attori sia in Libano che sulla scena internazionale. Come sostiene da anni in modo convincente l’esperto di affari libanesi, Tony Badran, Hezbollah è la legione straniera libanese dell’Iran. Ed è anche il Libano stesso.
Il gruppo sciita controlla tutti gli aspetti della politica e degli affari di sicurezza nel Paese e gran parte dell’economia. Gli organi ufficiali del Libano, le sue istituzioni statali (comprese le Forze armate libanesi), il Parlamento, la Banca centrale e il Governo sono tutte foglie di fico il cui scopo è nascondere questa verità fondamentale. L’Unifil, la forza militare delle Nazioni Unite incaricata di tenere Hezbollah lontano dal confine con Israele, agisce a piacimento del movimento sciita. Il suo personale vive (e muore) a compiacenza di Hezbollah. Di conseguenza, non solo l’agenzia è incapace di svolgere il proprio mandato, ma, come per le Forze armate libanesi, la continua presenza dell’Unifil lungo il confine protegge le forze e le risorse di Hezbollah dall’Idf.
Sotto il controllo di Hezbollah, il Libano non è un vero e proprio Paese. È la base militare avanzata dell’Iran contro Israele che, si dà il caso, conti 5,5 milioni di residenti. Il compito di quest’ultimi è quello di negare di vivere in una base missilistica iraniana. Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e l’Unione europea sono perfettamente in grado di riconoscere questa verità fondamentale. Ma si rifiutano ostinatamente di farlo. Piuttosto, essi consentono il controllo costante di Hezbollah unendosi ai libanesi nel continuare a far credere che il Libano sia ancora un Paese con istituzioni statali che operano indipendentemente da Hezbollah, che sono in grado di opporsi alle azioni del movimento sciita e pertanto degne del sostegno finanziario e militare statunitense e di quello internazionale. Tale posizione consente loro di agire diplomaticamente e di mediare gli accordi di resa israeliani all’aggressione genocida di Hezbollah, evitando al tempo stesso scontri diretti con Hezbollah o con l’Iran stesso.
Di fronte agli attacchi di Hezbollah e alla protezione di cui esso gode da parte dei suoi sostenitori sia in Libano che sulla scena mondiale, Israele si trova di fronte a un dilemma. Permettere a Hezbollah di raggiungere i suoi obiettivi sarebbe un suicidio nazionale. Ma per impedire al gruppo sciita di raggiungere tali obiettivi, Israele dovrà ancora una volta combattere una grande guerra contro un altro nemico protetto dal sistema internazionale.
C’è anche la sfida militare. Nella generazione passata, i capi di Stato maggiore dell’Idf che si sono avvicendati hanno abbracciato l’idea che l’era delle grandi guerre convenzionali fosse finita. Sulla base di questa valutazione falsa, ma popolare, per 20 anni lo Stato maggiore ha ridotto drasticamente le forze di terra israeliane e ha concentrato la maggior parte delle risorse militari israeliane nell’Aeronautica e in altre unità ad alta tecnologia. Queste forze non erano finalizzate a sviluppare piani per sconfiggere Hamas e Hezbollah, ma ad attaccare gli impianti nucleari iraniani, preferibilmente come parte di una forza guidata dagli Stati Uniti. L’idea che Israele potesse indebolire la propria indipendenza strategica, in cambio di garanzie strategiche da parte degli Stati Uniti, ha dominato il discorso sulla sicurezza nazionale israeliana. Tuttavia, dal 7 ottobre, Israele si è trovato coinvolto in una grande guerra convenzionale su sette fronti: Gaza, Libano, Giudea e Samaria, Mar Rosso, Iran e Iraq/Siria.
Mentre Israele si preparava per la guerra che voleva combattere – una guerra a basso costo e ad alta tecnologia portata avanti principalmente da centri operativi climatizzati lontani dai campi di battaglia – i suoi nemici si preparavano per la guerra che volevano combattere. Vale a dire, questa è la loro guerra per eliminare Israele. Israele ha addestrato hacker; Hamas e Hezbollah hanno addestrato eserciti di terroristi jihadisti costituiti da assassini e stupratori, formando squadre per lanciare missili, droni e razzi.
Combattere questi eserciti con le forze ad alta tecnologia israeliane si sta rivelando estremamente difficile. Anche la convinzione di Israele di contare sul sostegno statunitense ha subito un duro colpo. A dire il vero, Washington intenderebbe sostenere gli sforzi di Israele per difendersi dall’aggressione lungo i sette fronti presidiati dall'Iran e dai suoi proxy. Si oppone, però, all’azione offensiva israeliana e ha lavorato attivamente per indebolire la capacità di Israele di condurre operazioni offensive prolungate. Tra le altre cose, gli Stati Uniti si rifiutano di condividere informazioni satellitari e di altro tipo relative a obiettivi offensivi, e stanno imponendo embarghi o rallentando il trasferimento di munizioni offensive alle forze terrestri e aeree israeliane.
PORRE FINE AL REGNO DEL TERRORE DI HEZBOLLAH
Dato l’imperativo strategico di sconfiggere Hezbollah e impedirgli di raggiungere il controllo operativo o strategico sul nord di Israele, e alla luce della debolezza diplomatica di Israele rispetto ad Hezbollah (e Hamas) e delle sue debolezze operative, la domanda è: come dovrebbe procedere Israele? La risposta inizia con l’imperativo strategico. Israele deve porre fine al regno del terrore di Hezbollah nel nord del Paese. Deve indebolire la capacità militare di Hezbollah, al punto che quest’ultimo non sarà più in grado di colpire Israele a piacimento. Per raggiungere questo obiettivo, Israele deve prendere il controllo del lato libanese del confine, distruggere le forze di Hezbollah a sud del fiume Litani e poi restare nel Libano meridionale per il prossimo futuro.
Un simile obiettivo è, ovviamente, facile da dichiarare. Ma è molto più difficile da conseguire. Realisticamente, per raggiungerlo, Israele ha bisogno di aumentare notevolmente le dimensioni delle sue forze permanenti e di riserva, e possedere la capacità militare-industriale per armare le sue forze in modo indipendente. Israele sta già lavorando per raggiungere entrambi questi obiettivi. Tuttavia, l’indipendenza industriale e l’ampliamento delle forze militari richiedono tempo. E il tempo è essenziale. Non si può pretendere che gli 80mila sfollati residenti nel nord, ora sparsi negli hotel di tutto il Paese, aspettino anni per tornare nelle proprie case.
La decisione presa nel maggio del 2000 dall’allora primo ministro, Ehud Barak, di cedere a Hezbollah la zona di sicurezza nel sud del Libano, è la ragione per cui l’organizzazione terroristica è stata in grado di costruire le sue forze al punto da rappresentare una minaccia esistenziale alla sopravvivenza di Israele. Impegnandosi a invertire la sua decisione, Gerusalemme imboccherà la strada della vittoria. Il Governo israeliano preparerà psicologicamente l’opinione pubblica alla strada da percorrere e fornirà allo Stato maggiore e ai gradi inferiori dell’Idf la guida necessaria per sviluppare e portare a termine missioni tattiche che promuoveranno l’obiettivo finale di Israele.
Se Israele invadesse il Libano con una forza pari a un vero e proprio corpo militare, indurrebbe la Comunità internazionale guidata dagli Stati Uniti a mobilitarsi contro di esso. Ma se si muovesse lentamente, con battaglie discrete contro obiettivi specifici, Israele potrebbe rimanere al di sotto degli schermi radar delle capitali occidentali e delle istituzioni globali ostili. In apparenza, Israele può presentare le sue operazioni come semplici risposte agli attacchi di Hezbollah. Ma proprio come Hezbollah utilizza ogni attacco missilistico come mezzo per sondare e imparare come penetrare le difese di Israele per portare avanti il proprio obiettivo strategico, anche collegando ogni azione all’obiettivo strategico di ripristinare la zona di sicurezza nel Libano meridionale, le operazioni di Israele saranno pietre per pavimentare la strada che conduce alla vittoria strategica. Ogni mossa renderà il nord più sicuro. E ogni mossa minerà gli obiettivi di Hezbollah. Agendo lentamente e deliberatamente, Israele può imparare man mano che procede, adattando le sue operazioni alle condizioni che scopre sul terreno, espandendole quando le realtà politiche lo consentono e limitandole quando quelle realtà sono più scoraggianti.
A oggi, la maggior parte delle azioni di Israele in Libano ha comportato l’uccisione di comandanti militari di Hezbollah come Abdullah. Tuttavia, come ha osservato l’Alma Research and Education Center, specializzato nellìosservazione delle operazioni e delle capacità di Hezbollah, in un’analisi dell'operazione in questione e di altre simili, “ognuno ha un successore. Un tentativo di rimuovere gli alti funzionari può essere solo uno sforzo coadiuvante. È vitale e giusto, ma in fin dei conti è uno sforzo tattico privo di significato strategico”.
Un’operazione in lenta escalation in Libano finalizzata all’obiettivo strategico di porre fine all’assalto di Hezbollah al nord di Israele e garantire la sovranità dello Stato ebraico consentirà a Israele di intensificare gradualmente le sue operazioni, man mano che le sue forze saranno preparate e l’indipendenza militare-industriale sarà ampliata. Fornirà un mezzo per evitare una diffamazione internazionale più grave che Israele sicuramente subirebbe nel caso di un’invasione di massa, spingendo allo stesso tempo lo Stato ebraico verso un obiettivo strategico in grado di garantirgli gli interessi vitali. E la sopravvivenza.
(*) Tratto dal Gatestone Institute
(**) Traduzione a cura di Angelita La Spada
Aggiornato il 09 luglio 2024 alle ore 10:06