Ha vinto Kylian Mbappé. Sì, ha vinto il fuoriclasse francese, stavolta però senza segnare una rete. Ha vinto il suo appello reiterato al popolo francese nell’opporsi all’ascesa lepenista. Ha vinto l’antitesi di un racconto allarmistico a discapito di una tesi radicale sebbene negli anni diluita da non pochi episodi di buon senso.
Ha vinto un fronte popolare che somiglia molto all’Unione di prodiana memoria, ovverosia un caravanserraglio di sensibilità politiche non solo distinte ma, in molti casi, anche distanti.
Tanto per capire: estremisti di sinistra e riformisti a vocazione tecnocratica, passando per moderati liberaldemocratici e radicali filoislamici e antisionisti ‒ con venature antisemitiche ‒ per poi proseguire con ulteriori accostamenti antitetici. Tutto per non far vincere il Rassemblement National sostenuto da una parte dei neo-gollisti.
Un movimento, quello di Marine Le Pen, che ormai da anni aveva intrapreso un percorso di graduale “moderazione” peraltro con risultati discreti, ma tant’è. Mediante il sistema delle desistenze, Emmanuel Macron non solo ha consegnato la Francia in mano ad una sinistra orfana di esperienze amministrative consolidate e, al contempo, tronfia di anacronismi ideologici di matrice marxista, ma è stato perfino il primo obiettivo delle invettive di Jean-Luc Mélenchon una volta resi pubblici i risultati del secondo turno elettorale.
E ora con un Paese ad entropia sociale elevatissima, a fronte di risultati sorprendenti dove le ali estreme sono state protagoniste di un testacoda inaspettato, e un sistema politico a rischio paralisi, Macron avrà più di un grattacapo per ricomporre un mosaico ormai frantumato. In tutto questo pesa l’assenza di una destra liberale e liberista il cui canto del cigno venne intonato da quel Nicolas Sárközy che, nelle intenzioni, doveva alleggerire le prerogative statuali e invece si perse tra scandali personali e deliri di onnipotenza.
Aggiornato il 08 luglio 2024 alle ore 11:39