L’opposizione non ci sta. In Libano i partiti cristiani al governo accusano Hezbollah di trascinarli in guerra, dato che il conflitto tra Israele e Hamas si sta espandendo pure al confine con il Paese limitrofo. Il sud del Libano è diventato “un poligono a cielo aperto”, come racconta l’inviato di Rainews24 Nello Rega. Il confine non-confine di centinaia di chilometri quadrati sventrato da buchi di proiettili di artiglieria, campi coltivati andati in fumo e circa 90mila persone evacuate sono gli effetti dell’allargamento del conflitto. Gli scontri a fuoco tra Hezbollah e Israele sono proseguiti ieri, nel contesto della nuova escalation militare accesa dall’uccisione di un comandante militare islamista da parte di un razzo dell’Idf.
I libanesi “sono ostaggi nel conflitto tra Hezbollah e Israele”, secondo Samy Gemayel, il presidente del partito all’opposizione Kataeb. Gli islamisti al potere hanno “tolto di mano una decisione che per la legge spetta solo al popolo”, ha aggiunto il capo delle Falangi. E ancora: “Hezbollah ci sta trascinando in una guerra che nessuno di noi vuole, e ne stiamo pagando il prezzo”, sancisce Gemayel. Ma il partito fondamentalista islamico Libano è legato indissolubilmente all’Iran, l’unico attore politico capace di far cambiare rotta agli sciiti del Medio Oriente. Ma il Paese “vuole avere qualcuno che faccia i suoi interessi nel Mediterraneo, e quel qualcuno è Hezbollah”, ha continuato il presidente di Kataeb. Il Regime vorrebbe contare il Libano tra i Paesi alleati, e l’allargamento del conflitto fa proprio il gioco dell’Iran.
Nel frattempo, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha inviato il team di Tel Aviv per i negoziati a dialogare sulla tregua a Gaza. Ma ancora non si sa dove si terranno le discussioni tra le due parti. Nell’incontro con i negoziatori, il capo di Governo “ha sottolineato ancora una volta che la guerra finirà solo dopo aver raggiunto tutti i suoi obiettivi e non un attimo prima”. E che Hamas non richiederà più il completo ritiro israeliano nella prima fase del cessate il fuoco e dello scambio di prigionieri, che durerebbe sei settimane. L’intesa sul tavolo preserva infatti per Israele la possibilità di tornare in guerra, qualora nella prima fase non si raggiungano accordi sulla seconda fase. Lo ha dichiarato un funzionario di Tel Aviv citato dall’agenzia israeliana Ynet.
Aggiornato il 05 luglio 2024 alle ore 15:46