Grecia romagnola

“Abbiamo coniato un termine, mykonization, e sono sempre di più le località della Grecia che se lo meritano”. Theodoros Tsikis è un signore distinto che gira il mondo e a Rodi gestisce un ottimo ristorante immerso nel verde. Non avrebbe alcun interesse a sbuffare per questa myconizzazione galoppante. In fondo, più turisti, più guadagni. Ma forse ne parla con un certo snobismo, il suo è un locale un po’ chic, la folla non gli serve. E magari non sa che il suo termine, comprensibile al volo dagli appassionati della Grecia, ha un antenato in Italia, la riminizzazione: nulla di dispregiativo, semplicemente un modello popolare per chi, al mare cristallino, preferisce città e spiagge attrezzatissime, con immensi mercatoni unz-unz. Ma la Romagna ha sempre puntato sulla meravigliosa accoglienza, sul cibo delizioso, sulla disponibilità di albergatori e ristoratori, sulla simpatia, sulle spiagge a misura di famiglie: negli anni Cinquanta, Rimini era già così. Si è modernizzata, ma non ha cambiato il suo carattere.

La Grecia ha impiegato decenni prima di iniziare la mykonizzazione: gli appassionati del bianco e dell’azzurro più belli del mondo non hanno mai voluto essere considerati turisti, perché vivevano di mare greco, di casette greche dove si mangiava cucina greca, si ascoltava musica dell’Epiro, della Tessaglia, dell’Attica, della Macedonia o della Tracia. Erano pochi, gli inizi furono difficili. Negli anni Settanta i colonnelli, per favorire il turismo, avevano persino ordinato alla polizia di non multare gli stranieri, qualsiasi infrazione commettessero. Per la felicità degli italiani, pochi, ma tutti dediti a velocità assurde e a parcheggi sui marciapiedi.

Poi, quel ventuno aprile, tanto osannato con scritte su ponti e strade, lasciò il posto a una democrazia. Buona di per sé, ma infarcita di scandali e di burocrazie spesso difficilmente scavalcabili senza buste ripiene: abitudine del Mediterraneo di mezzo mondo, non solo ellenica. L’economia greca è stata fra le più deboli in Europa, e nel 2009 iniziò la grande crisi che costrinse il premier Giōrgos Papandreu ad ammettere di aver falsato i bilanci dei Governi precedenti, per far accettare la Grecia nella zona Euro. Da quel momento, i rapporti con l’Unione europea diventano sempre più difficili, fra aiuti che non bastano mai fino alla chiusura degli sportelli bancari nel 2015, dopo la mancata restituzione di un cospicuo prestito.

Ovunque drammatiche file di greci in attesa del proprio turno davanti al bancomat da cui potevano ritirare al massimo cinquanta euro, moltissimi esercizi e alberghi chiusi. Negli anni seguenti, la situazione migliorò con grande lentezza, anche a prezzo della vendita di molti gioielli di famiglia, uno per tutti il porto del Pireo ai cinesi, i quali hanno tratto notevoli vantaggi da questa transazione. E in mano agli stranieri sono passate molte strutture turistiche, mentre altre sono state costruite da società estere.

Il post-Covid ha scatenato ogni forma di turismo, in tutto il mondo. E si è ribaltato vistosamente il rapporto fra gli innamorati del suolo ellenico e i gitanti che ai tour operator chiedono solo mete dove sia ricostruito il loro habitat naturale con cibi, musiche e birre che ricordano la loro patria e le loro abitudini a cui non rinuncerebbero mai. Un barista della Plaka, il quartiere ateniese intorno all’Acropoli, osserva tristemente: “Vengono qui, se non è troppo caldo guardano il Partenone, mangiano, bevono e dopo uno o due giorni al massimo se ne vanno nelle isole. La nostra cultura? Per molti è tzatziki, moussaka, taramosalata, ouzo e pesce buono”.

Ora la Grecia è letteralmente esplosa, riuscendo ad accontentare tutti i gusti. Isole come Mykonos, Paros, Santorini hanno iniziato a gareggiare con la Costa Smeralda e Saint Barth quanto a lusso e prezzi sproporzionati ai servizi, con scontrini incorniciabili da tanti danarosi sbruffoni. Ed è incredibile la velocità con cui l’invasione sta interessando un numero sempre maggiore di isole. L’isola della Gigantomachia, in particolare, è diventata un must: ombrelloni a cento euro in spiagge non elitarie e giovani prontissimi a spendere soldi, che non hanno, per vivere una movida fatta di mojito, caipirinha e caipiroska serviti con gesti spettacolari quanto il conto. Chi, decenni fa, girava per le deliziose stradine incontrando il pellicano che si fermava davanti alle botteghe, aspettando qualcosa da mangiare e una pompetta piena d’acqua, sappia che ora la Grecia non esiste quasi più.

Le altre Cicladi, una per una, emulano a velocità pazzesca: mille euro a notte per una camera vista-mare a Oia, Santorini, il tramonto più bello del mondo. Come tanti altri, del resto. Millecinque con tinozza privata che fa glu-glu. Paros diventa preziosa, elegante, ma non lo è il turistodotto che riversa milioni di pacchi postali umani. Qualcuno capita nelle isolette più piccole, non ne conosce l’aspetto invernale, e vorrebbe comprare casa: a Kimolos, di fronte Milos, chiede se ce ne sia qualcuna in vendita a un signore che sta imbiancando la propria, il quale, compassato, gli domanda, a sua volta, se stia scherzando. Gli zeri dei prezzi aumentano come il numero dei villeggianti, la musica greca non si ascolta quasi più, perché la lingua internazionale è anche un passepartout musicale. Le Cicladi sono totalmente invase nell’alta stagione che inizia a fine maggio e finisce a ridosso di ottobre. Isole minuscole e meravigliose come Koufonisia, Schoinousa, Iraklia, sono state scoperte e schizzate sold out in pochissimi anni. Turisti di Paesi meno ricchi approfittano dei voli low cost, cercano stanze ovunque e si accampano sulle spiagge.

Per quanto riguarda il Dodecaneso, la grande distribuzione riversa valanghe di vacanzieri a Rodi (nord ed est Europa, Stati Uniti, livelli economici e culturali medio-bassi, età elevata). E poi a Kos, altro hub di Ryanair, che di greco ha ormai solo la bandiera e il sano ricordo di Ippocrate. Per il resto, è un’immensa colonia marina per adulti e un interscambio con la ex-economica Bodrum. Karpathos, bella, ventosissima e montuosa, si è riempita di italiani che il giorno prima di prenotare non sapevano se la Grecia fosse a est o a ovest.

Certamente, in un Paese la cui superficie – se il mare fosse terra – è pari a quella degli Stati Uniti, forse qualche lembo autentico resiste. C’è una minuscola isoletta, ad esempio, con spiaggette deliziose, ma poco servite da battelli che portano i turisti dall’isola principale. Ebbene, operai e muratori che ogni mattina vanno al lavoro in questo grande scoglio non dicono di no a chi vuole un passaggio. Gratuito, però loro partono alle sei e trenta! Isole come questa bisogna solo trovarle, ma chi le conosce, in genere, mantiene il prezioso segreto. Come sta facendo il geloso e perfido autore di questa non-guida: acqua (greca) in bocca.

Aggiornato il 20 giugno 2024 alle ore 11:11