Perché alla sinistra piace la Palestina?

Nel periodo antecedente la Seconda guerra mondiale, il fondatore del movimento palestinese era un fiero nazista e un amico di Adolf Hitler. Haj Amin al-Husseini era il Gran Mufti di Gerusalemme, il leader religioso dei musulmani in quello che oggi è Israele, ma che allora veniva chiamata Palestina, e, dopo il crollo dell’Impero ottomano, era sotto mandato britannico. Fu al-Husseini a trasformare i dissidi tra arabi ed ebrei da un conflitto di carattere religioso risolvibile ad uno insolubile.

Al-Husseini stabilì che era contrario alla legge islamica della sharia consentire la sovranità ebraica anche su un solo centimetro di quello che in precedenza era stato territorio ottomano, decretando che tale territorio sarebbe stato per sempre terra religiosa musulmana, parte di un lascito ossia di un “waqf”, dato in custodia da Allah. Il Gran Mufti si oppose alla creazione di qualsiasi Stato ebraico, a prescindere da quanto piccolo sarebbe stato, anche se questa ipotesi fosse stata contemplata nel quadro di una soluzione a due Stati che avrebbe offerto una percentuale molto maggiore di terra ad uno Stato per i palestinesi.

Al-Husseini trascorse gli anni della guerra a Berlino come ospite di Hitler, complottando per estendere il genocidio del Führer contro gli ebrei dall’Europa al Medio Oriente. Partecipò allo sterminio degli ebrei e di altri nei Balcani. Per tale motivo, dopo la fine della guerra riuscì a sottrarsi all’imputazione come criminale di guerra nazista, fuggendo in Egitto per evitare di essere processato e impiccato.

Dopo la sua morte, gli successe il suo allievo Yasser Arafat, il quale fece affidamento sul terrorismo contro i civili, come metodologia principale per distruggere lo Stato-nazione del popolo ebraico. Arafat rifiutò le offerte di una soluzione a due Stati perché non avrebbe mai potuto accettare l’esistenza di uno Stato per il popolo ebraico.

Due anni dopo la morte di Arafat, avvenuta nel 2004, si svolsero le elezioni per il rinnovo del Consiglio Legislativo Palestinese, tra Fatah e Hamas. Fu il movimento militante islamico di Hamas a incassare quella vittoria elettorale e i sondaggi mostrano fino ad oggi un sostegno maggiore a quel gruppo islamista piuttosto che a Fatah, fazione un po’ più laica.

Lo Statuto di Hamas è antisemita fino al midollo e ritiene gli ebrei responsabili della maggior parte dei mali del mondo, dalla Rivoluzione francese e quella russa a entrambe le guerre mondiali: “Nessuna guerra è mai scoppiata senza che si trovassero le loro impronte digitali” (art. 22).

Hamas e i leader religiosi palestinesi in Cisgiordania considerano l’omosessualità un peccato punibile con la morte e  si oppongono a qualsiasi tipo di uguaglianza per le donne.

Se uno Stato governato da Hamas dovesse sostituire Israele “dal fiume al mare”, si tratterebbe di un regime teocratico più vicino a quello dell’Iran che alle autocrazie della Giordania o dell’Egitto. In un simile Stato, a ebrei e cristiani non sarebbe consentito di vivere come cittadini con pari diritti. Infatti, nelle aree attualmente controllate da Hamas, i cristiani e le altre minoranze non musulmane hanno subito una pulizia etnica.

Hamas è una filiale interamente controllata dai mullah iraniani, i quali, a partire dalla rivoluzione dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini del 1979, considerano Israele il “Piccolo Satana” e gli Stati Uniti il “Grande Satana”.

Alla luce della sordida storia e dello status attuale del palestinianismo, è abbastanza singolare che, tra tutte le cause del mondo, la sinistra abbia scelto quella dei palestinesi come proprio obiettivo primario. Gli studenti di sinistra non manifestano a favore dei curdi, degli uiguri, dei dissidenti iraniani o delle vittime siriane del genocidio. Ci sono più manifestazioni filo-palestinesi che per le vittime ucraine dell’aggressione russa.

Come si può spiegare questa realtà illogica? È piuttosto semplice. Il vero focus di queste manifestazioni non è sulle presunte vittime, ma piuttosto sui presunti carnefici. I colpevoli sono di fatto più anti-Israele che filo-palestinesi. Turchia, Siria, Iraq e Iran negano l’identità ai curdi. La Cina si macchia di violenze contro gli uiguri. Il regime siriano e quello iraniano sono responsabili della violenza contro i loro cittadini. La Russia ha invaso l’Ucraina.

La sinistra non odia questi oppressori. Odia Israele e il suo principale alleato, gli Stati Uniti, perché sono Paesi occidentali con un’economia di libero mercato. Di conseguenza, la sinistra sostiene i nemici di questi nemici, che in questo caso sono i palestinesi. Nelle guerre precedenti, la sinistra ha sostenuto i Vietcong, i Pol Pot, la Corea del Nord e Cuba. Si è sempre trattato più di identificarsi con i presunti carnefici – Stalin, Hitler, Mao, Castro, Che Guevara – che con le presunte vittime.

Naturalmente, ci sono civili gazawi che meritano il sostegno della sinistra (e non solo). Anche le critiche giustificate a Israele sono legittime. Ma una critica sproporzionata inventata nei confronti di Israele e allo stesso tempo un sostegno sproporzionato ai palestinesi, escludendo o minimizzando gli altri, è ingiusta e inaccurata. È Hamas, non Israele, ad essere responsabile di gran parte, se non della totalità, della vittimizzazione dei civili palestinesi. Israele può e deve essere criticato per le vittime tra i civili che non si potevano evitare, e nel “caos della guerra” molte morti non sono evitabili, o delle vittime di cui è responsabile. Ma niente di tutto ciò spiega o giustifica la singolare attenzione della sinistra ai palestinesi e a Israele. Né la falsa affermazione secondo cui Israele è uno Stato “coloniale” o “colonizzatore” spiega l’odio impetuoso diretto contro Israele dalla sinistra. Ci sono veri e propri Stati coloniali, colonizzatori, come la Nuova Zelanda, che è stata piuttosto critica nei confronti di Israele e solidale con i palestinesi. Nessuno manifesta contro la Nuova Zelanda, l’occupazione di Cipro [Nord] da parte della Turchia o del Kashmir da parte del Pakistan.

L’attenzione sproporzionata rivolta ai palestinesi e a Israele può essere spiegata solo con l’odio bigotto nei confronti dello Stato-nazione del popolo ebraico e della sua alleanza con gli Stati Uniti, e con il desiderio di vederli rovesciati.

(*) Traduzione a cura di Angelita La Spada

(**) Nella foto: Hitler incontra Husseini, il 28 novembre 1941 (fonte dell’immagine: Archivio federale tedesco)

Aggiornato il 17 giugno 2024 alle ore 10:19