Il futuro del Messico in bilico: continuità o cambiamento

In Messico la campagna presidenziale si è conclusa mercoledì e il Paese si prepara ad andare alle urne domenica 2 giugno. Abbiamo assistito a un processo elettorale che è stato profondamente ingiusto e parziale, e con un arbitro elettorale intervenuto e timoroso di esercitare la sua autorità e far rispettare la legalità.

Nemmeno nei tempi peggiori del Pri (che con le buone e con le cattive ha governato il Paese per 80 anni) con la sua dittatura perfetta intitolata allo scrittore Mario Vargas Llosa, si era assistito a tanto abuso di potere, con l’ingerenza del Governo e del presidente Andrés Manuel López Obrador di imporre il suo candidato, attaccando e minacciando l’opposizione e mettendo la museruola al potere elettorale.

Durante tutta la campagna elettorale, la candidata ufficiale, Claudia Sheinbaum, è partita avvantaggiata per molti mesi e ha avuto accesso a tutte le risorse pubbliche immaginabili, molto probabilmente anche a voluminose risorse provenienti dalla criminalità organizzata – e a varie forme di acquisto del voto, coercizione, intimidazioni e violenze contro l’opposizione e i cittadini (compreso il sospetto di acquistare sondaggi per scoraggiare la partecipazione e indurre a votare a favore del partito al potere, già praticato nel 2023 nelle elezioni locali dello Stato del Messico) – da parte del Governo, il partito al potere e persino la stessa criminalità organizzata. Secondo la società di consulenza Integralia, finora, ad esempio, ci sono state 749 vittime di violenza politica durante il processo elettorale, compresi 231 omicidi di candidati o persone legate ai partiti o alle loro campagne.

Il Messico eleggerà un nuovo presidente tra due candidati che divergono profondamente nella loro visione del Paese. Per Claudia Sheinbaum, ad esempio, il suo compito di Governo sarebbe quello di prendersi cura e portare avanti l’eredità del presidente López Obrador, in un Paese dove, grazie a lui, la divisione dei poteri è lettera morta. Ma è coerente con la strategia di Sheinbaum, che non si preoccupa degli elettori, ma solo di un voto, quello supremo, quello di López Obrador. L’eventuale vittoria di Sheinbaum significherebbe, quindi, l’attuazione del cosiddetto Piano C di López Obrador, che consiste nella distruzione completa degli organi autonomi di controllo costituzionale e nell’assoggettamento della Corte suprema di giustizia e dell’autorità elettorale (e tale da tempo anche dal Banca centrale) ai mandati presidenziali. In una parola: seguire l’esempio di tanti Paesi dell’America Latina, che hanno intronizzato autocrati con mezzi democratici (Hugo Chávez, Daniel Ortega o come hanno provato Evo Morales, Manuel Zelaya e Pedro Castillo), salvo poi finire per chiudere tali mezzi.

La continuità della visione di Sheinbaum implica anche: continuare con l’attuale politica del Governo di aumentare il numero dei poveri estremi, al fine di aumentare la propria clientela elettorale; lasciando da parte, quindi, tutti coloro che non contano come clienti elettorali, come nel caso dei bambini. Oggi quattro bimbi su 10 non hanno un programma di vaccinazione completo. Oppure, pensando ai bambini malati di cancro, abbandonati a se stessi. Lo stesso è accaduto agli anziani con più di 70 anni, ai quali sono stati saccheggiati i fondi pensione con la promessa che con questi soldi avrebbero aumentato la pensione dei nuovi pensionati.

Continuare con la riduzione sistematica del bilancio del settore sanitario pubblico, per destinare questi fondi alle opere faraoniche del presidente López Obrador; continuare con la politica del disprezzo verso le donne, verso le madri alla ricerca dei figli o dei mariti scomparsi; continuare con gli insulti e le bugie quotidiane come strumenti fondamentali del Governo, con la persecuzione di giornalisti, critici, accademici e oppositori, con la persecuzione degli scienziati, con l’utilizzo dell’apparato giudiziario per scopi politici; la pressione e la minaccia aperta contro i media e i giornalisti; la coercizione quotidiana di milioni di messicani, anche davanti alla porta di casa, che se non sostengono il partito al potere perderanno gli aiuti ufficiali e i programmi di sussidio; proseguire con l’aperta complicità con dittatori come Nicolás Maduro, Miguel Mario Díaz-Canel o Evo Morales, o con l’alleanza con la criminalità organizzata, che può agire in tutto il Paese, con un numero significativo di comuni in potere della criminalità e in cui lo Stato messicano non ha più alcuna autorità.

Chiudendo un occhio sul permissivismo criminale di fronte alla pandemia di Covid, che è costata centinaia di migliaia di morti e si stima che almeno 300mila messicani avrebbero potuto evitare la morte, con una strategia più tempestiva e un sistema sanitario migliore, il quale questo Governo ha distrutto fin dal suo primo giorno in carica. Continuare con la militarizzazione sistematica e spudorata del Paese, secondo la ricetta cubana e venezuelana di arricchire i comandanti militari affinché siano il sostegno armato del potere.

Le azioni di López Obrador sono di limitazione delle libertà – come la detenzione preventiva informale, automatica e incostituzionale – e di limitazione dei diritti dei cittadini, come l’annullamento del diritto alla tutela giurisdizionale. La distruzione delle aree naturali del Paese, della giungla sud-orientale o il saccheggio di fondi pubblici per rispondere a disastri naturali e incendi; andare avanti con la sfacciataggine presidenziale di sostenere promesse, poche settimane dopo aver lasciato il potere, come quello di avere un sistema sanitario come quello danese o di fermare il tasso di violenza e criminalità, come se governasse un paese di idioti e dimenticabili; insistere a praticare lo spreco e la corruzione ostentata della famiglia presidenziale in un Paese con tanti bisogni, che aumentano di giorno in giorno; vista questa eredità di López Obrador e Morena, il suo partito, parlare di continuità significa, in realtà, complicità.

Quella di Sheinbaum non è quindi un’offerta di continuità, ma piuttosto di complicità criminale. Quello di Xóchitl Gálvez punta almeno al dialogo, alla riconciliazione, alla ricostruzione del Governo, alla correzione di tutti questi deficit, errori e negligenze, che hanno fatto sì che il regime la vedesse come un nemico, perché significa smantellare la sua vasta rete di complicità, benefici e privilegi, molti dei quali di natura criminale.

Questa domenica il Messico si gioca il suo futuro con un sorteggio: deciderà cioè il suo futuro in un gioco d’azzardo. A questo proposito, molte sfide si profilano all’orizzonte messicano: la questione dell’immigrazione, la prossima revisione del T-Mec, la risoluzione una volta per tutte delle violazioni del Trattato da parte del Messico su questioni come il mais o l’energia, un nuovo modus vivendi con il prossimo Governo degli Stati Uniti, lasciarsi alle spalle la crescita mediocre dell’economia e sfruttare opportunità come il Nearshoring o il cambiamento tecnologico in cui siamo immersi. Argomenti, questi, che sono stati quasi assenti nelle campagne.

Quindi, siamo sorpresi che, chiunque venga eletto, perda buona parte del suo Governo, risolvendo le questioni pendenti e raccogliendo le macerie che questo Esecutivo lascerà dietro di sé, senza affrontare le sfide urgenti e importanti che ci attendono come Paese. Con Xóchitl Gálvez, e nonostante la sua agenda, con una certa sfumatura di populismo di sinistra (una sorta di revival del vecchio nazionalismo rivoluzionario del Pri), noi messicani ci daremmo l’opportunità di affrontare e risolvere i nostri problemi attuali per sei anni, invece di approfondirli con Sheinbaum e diventare sempre più simile a un’altra autocrazia delle banane latino-americana.

(*) Presidente di México Libertario e del Partito Libertario

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Aggiornato il 03 giugno 2024 alle ore 09:32