La sua attività politica affonda le proprie radici in un progetto culturale impiantato nel territorio del liberalismo classico
Prima i dati della liberalizzazione degli affitti: in poco più di quattro mesi, l’offerta di immobili in Argentina è notevolmente aumentata, i canoni hanno iniziato progressivamente a scendere, proprietari e inquilini hanno beneficiato del nuovo quadro giuridico ed economico. Ora, il giudizio positivo espresso dal Fondo monetario internazionale, secondo cui il Governo argentino ha ottenuto “risultati migliori del previsto”, atteso che “tutti i criteri di performance sono stati superati”. Come ha riportato in una nota il medesimo Fmi: “Sono state raggiunte intese sulle politiche per continuare a ridurre l’inflazione, ricostituire le riserve internazionali, sostenere la ripresa e mantenere il programma saldamente sulla buona strada”. In mezzo a queste cose, una serie di idee e programmi che Javier Milei ha messo in campo, i quali si sono dimostrati vincenti, risolutivi dei problemi. Alcuni veri e propri drammi, cui intendeva porre rimedio. “Dovranno dargli il Premio Nobel per l’economia” ha addirittura dichiarato Daniel Scioli, rappresentante del peronismo ed ex governatore della provincia di Buenos Aires, tradizionalmente associato a politiche più interventiste e redistributive ma soprattutto storico avversario del medesimo presidente, lodando la sua gestione economica.
Alla base di tutto ciò – e la cosa non deve essere affatto messa in ombra – ci sono presupposti culturali di ampio respiro, i quali si ricollegano ai lavori dei grandi pensatori liberali della Scuola Austriaca di Economia, che sono ancora oggi una permanente fucina di idee e un punto di riferimento per tutti i sostenitori della libertà individuale di scelta, della logica di mercato e della sua applicazione. A essi il premier argentino, anche sfidando l’impopolarità e accettando di misurarsi con le questioni più spinose, ha costantemente attinto, dimostrando così che non ci può essere grande politica senza cultura. Il suo è pertanto un progetto politico nutrito di una cultura con cui si sente in perfetta armonia, che gli consente di pensare a riforme di vasta portata e agli effetti che nel medio e lungo periodo le sue decisioni produrranno. A proposito, è sufficiente richiamare il discorso che ha pronunciato al World economic forum di Davos in Svizzera, in occasione del suo primo viaggio all’estero dopo l’insediamento, allorché, dopo aver avvertito che: “l’Occidente è in pericolo. È in pericolo perché coloro che dovrebbero difendere i valori occidentali si ritrovano cooptati da una visione del mondo che porta inesorabilmente al socialismo e, di conseguenza, alla povertà” e sottolineato che “gli esperimenti collettivisti non sono mai la soluzione ai problemi che affliggono i cittadini del mondo, ma, al contrario, ne sono la causa”. E ancora, ha affermato: “Il capitalismo di libera impresa come sistema economico è l’unico strumento che abbiamo per porre fine alla fame, alla povertà e alla miseria in tutto il pianeta. L’evidenza empirica è indiscutibile. […] Grazie al capitalismo di libera impresa oggi il mondo è nel suo momento meglio. Non c’è mai stato, in tutta la storia dell’umanità, un periodo di maggiore prosperità di quello in cui viviamo oggi. Il mondo oggi è più libero, più ricco, più pacifico e più prospero che in qualsiasi altro momento della nostra storia. Questo vale per tutti, ma soprattutto per quei paesi che sono liberi e rispettano la libertà economica e i diritti di proprietà degli individui”.
I medesimi concetti hanno pure ribadito, dinanzi a una platea entusiasta, alla convention di Vox al Vistalegre Palace di Madrid, sottolineando dapprima che il socialismo “nasconde dietro una patina di altruismo il peggio dell’essere umano. […] È sempre un fallimento economicamente, socialmente e culturalmente. Aprire la porta al socialismo è invitare la morte”. Poi che “lo Stato si tiene tutto. Basta con il socialismo e la miseria. Guardo l’Europa e gli Stati Uniti, e lentamente vedo i segni del tragico percorso che abbiamo percorso in Argentina”. Il compito dello Stato “non è quello di assumere le idee parassitarie della sinistra”, ma difendere “la vita, la libertà e la proprietà privata dei cittadini”. E infine, esprimendo il proclama di un grande liberale, “il capitalismo della libera impresa è stata la panacea per l’Occidente”, perché “nonostante i pianti della sinistra, il mercato libero produce prosperità per tutti”.
Così, muovendosi nella scia della “tradizione di ricerca” austriaca – che ha lungamente esplorato – e nel territorio del mutamento, che è quello della proprietà privata e del mercato, dove è possibile la scelta individuale, Milei sta portando avanti programmi, progetti e iniziative che mettono costantemente in contatto ogni individuo in qualsiasi parte del mondo si trovi, con la straordinaria capacità delle soluzioni liberali di far fronte ai problemi maggiori. Questi, come è facile percepire, negli attuali contesti sociali e politici gestiti, in larga misura, dal potere dello Stato e dei suoi apparati, tenuti assieme dalla proprietà pubblica e dalla logica monopolistica a questa connessa, sono prodotti dal settore pubblico, laddove la maggior parte delle soluzioni è apprestata da quello privato.
Né si può obiettare che il ragionamento appena proposto possa valere e valga per ambiti definiti (prodotti e servizi di largo consumo), ma è inappropriato quando si discorre di taluni beni e servizi pubblici (id est gestione del territorio, sistema bancario, istruzione, sanità, sicurezza), nonostante evidenze empiriche e analisi storiche mostrino invece come tutto ciò che nelle odierne società viene malamente gestito dallo Stato è stato in passato fornito, con maggiore efficacia e adeguatamente, dai soggetti privati, attraverso iniziative individuali, imprese orientate al profitto, enti caritatevoli, società di mutuo soccorso, associazioni e via dicendo.
Basterebbe pensare, ad esempio, al territorio nel quale per millenni, operando in libertà e attraverso la cooperazione sociale volontaria, l’uomo ha creato il proprio ambiente di vita e ha realizzato borghi, città e opere meravigliose. Oppure al sistema bancario che riflette una istituzione sociale, come il linguaggio, il mercato, le città, la proprietà, nata in un modo spontaneo senza banca centrale e senza alcuna specificità che potesse legittimare l’intervento dello Stato. La stessa, in sostanza, è sempre stata un’attività economica come tutte le altre, e sin dai suoi albori, è stata basata sulla libera emissione da parte delle banche di banconote convertibili in oro, in regime di gold standard. Oppure agli affitti di case e negozi, che prima che si dilatasse l’interventismo statale e si facesse strada lo strumento del controllo, rispondevano alle logiche del mercato e realizzavano la migliore composizione dei rispettivi interessi di proprietari e inquilini con benefiche ricadute sull’economia nel suo complesso, e ai problemi ambientali, che sono spesso interpretati come fallimenti del mercato e si assume persino che le ragioni dell’ecologia siano incompatibili con quelle dell’economia, o con la logica del profitto. In tal modo, non si prende in considerazione un fatto molto banale, ovverosia che a essere inquinate sono normalmente risorse di proprietà pubblica, o comunque fortemente regolamentate e che il mercato, se lasciato libero, è in grado di conseguire l’allocazione ottimale delle risorse e il livello di sfruttamento “ottimi”, consentendo all’interesse di lungo termine dell’attore economico privato (conservare una risorsa in buono stato, per garantirsi un reddito o un beneficio immateriale futuro) di prevalere su quello di breve (“spolpare” le risorse prima che lo facciano altri). Si potrebbe continuare con l’istruzione, la sanità e l’assistenza sociale, che in passato erano considerati servizi pubblici, laddove l’aggettivo pubblico non era collegato all’ente che li gestiva, ma all’attività espletata, connessa alla cura di interessi collettivi, svolta per lo più da soggetti privati. E ora sono invece considerati come fini propri ed esclusivi dello Stato, che lo stesso non si deve limitare a promuovere, ma a cui deve provvedere direttamente.
A ben guardare, e l’esperienza argentina è emblematica in tal senso, ancora oggi è sufficiente che lo Stato arretri, siano inserite linee di competizione e sia permesso alla società civile di riconquistare gli spazi perduti per assistere a un’espansione di attività e iniziative di ogni genere e al progresso economico e sociale. Il che reca con sé l’idea che il liberalismo non è utopia, ma, come ha insegnato Ludwig von Mises: “È ideologia, teorizzazione del nesso che lega insieme realtà sociali e al tempo stesso applicazione di questa teoria al comportamento degli uomini nelle realtà sociali. Agli uomini esso vuole dare un’unica cosa: uno sviluppo pacifico e continuo del benessere materiale per tutti, per tenere le cause esterne della sofferenza e della pena nei limiti in cui possono farlo istituzioni sociali. Ridurre la sofferenza, aumentare il piacere: questo il suo scopo”.
Viva la libertad carajo!
Aggiornato il 22 maggio 2024 alle ore 11:17