Tutti morti. L’incidente è avvenuto, probabilmente a causa del maltempo, in una zona impervia. L’impatto è avvenuto intorno alle 13,30 di ieri, ora locale, in una regione remota del nord-ovest dell’Iran, nella foresta di Dizmar, nella provincia dell’Azerbaigian Orientale. Ebrahim Raisi è morto nello schianto dell’elicottero sul quale viaggiava. All’inizio della giornata il presidente iraniano aveva visitato il fiume Aras al confine con la Repubblica dell’Azerbaigian, per inaugurare una diga insieme al presidente azero Ilham Aliyev. Le vittime sarebbero nove. A bordo del velivolo c’erano anche il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian, il governatore della provincia dell’Azarbaijan orientale Malek Rahmati e il leader della preghiera del venerdì di Tabriz Mohammadali Al-Hashem. Tra le vittime anche il generale Mehdi Mousavi, un membro della base Ansar al-Mahdi delle Guardie rivoluzionarie, il pilota, il copilota e il tecnico di volo. Le autorità iraniane stanno identificando i corpi carbonizzati dei passeggeri che si trovavano a bordo dell’elicottero. I corpi di Raisi e delle altre vittime dell’incidente all’elicottero su cui viaggiavano vengono trasferiti a Tabriz, nell’Iran nordoccidentale, vicino al luogo del disastro aereo. Lo riferisce il capo della Mezzaluna rossa iraniana Pir-Hossein Kolivand citato dai media, confermando che il trasferimento è in corso. Le operazioni di ricerca si considerano dunque concluse. “Non è stato trovato alcun segno di passeggeri vivi dopo la scoperta della posizione dell’elicottero precipitato”, ha detto al canale televisivo Irib il capo della Mezzaluna rossa iraniana Pir Hossein Kolivand.

La tivù di Stato iraniano ha dato la notizia ufficiale della morte del presidente Ebrahim Raisi, definendolo “martire del servizio” e precisando che saranno resi noti il luogo e l’ora della cerimonia funebre. I media di Teheran confermano che il presidente iraniano Ebrahim Raisi, 63 anni, è morto in un incidente di elicottero. Raisi si stava recando dalle zone di confine nordorientali alla città di Tabriz, nella provincia dell’Azerbaigian orientale, dove doveva inaugurare una raffineria. Intanto, il Governo iraniano ha tenuto una riunione di emergenza in mattinata, dopo l’annuncio della morte del presidente Ebrahim Raisi. Lo riporta l’agenzia di stampa iraniana Mehr. Il vertice è stato presieduto da Mohammad Mokhber, il primo vicepresidente, che secondo la Costituzione iraniana in caso di morte improvvisa del capo del Governo dovrà ricoprire la carica di presidente mentre entro 50 giorni si dovranno tenere nuove elezioni. “Il presidente del popolo iraniano, laborioso e instancabile, ha sacrificato la sua vita per la nazione”, si legge in un comunicato del Governo. “Assicuriamo alla nazione leale che, con l’aiuto di Dio e il sostegno del popolo, non ci sarà la minima interruzione nell’amministrazione del Paese”, aggiunge la nota.

Le reazioni

L’organizzazione terroristica palestinese Hamas ha espresso “sincere condoglianze, profonda simpatia e solidarietà” al leader supremo dell’Iran Sayyed Ali Khamenei per la morte del presidente Ebrahim Raisi. Per quella del ministro degli esteri Hussein Amir Amirabdollahian e degli altri dirigenti periti. Tutti leader – ha sostenuto su Telegram il movimento – “che hanno avuto un lungo percorso per il rinascimento dell’Iran, e posizioni onorevoli a sostegno della nostra causa palestinese, e della legittima lotta del nostro popolo contro l’entità sionista. Siamo fiduciosi che la Repubblica Islamica dell’Iran sarà in grado, a Dio piacendo, di superare le ripercussioni di questa grande perdita. L’amico popolo iraniano dispone di antiche istituzioni capaci di affrontare questa dura prova”.

La notizia dell’incidente del presidente iraniano Ebrahim Raisi “è certamente di grande impatto in Iran e fuori dai suoi confini. Ma la sua portata è minore di quanto ci si potrebbe aspettare”. Lo ha detto il politologo Ian Bremmer, capo e fondatore del think tank Eurasia. “Anzitutto, perché in Iran il potere non è nelle mani del presidente, ma in quelle del leader supremo e del Consiglio dei guardiani della Costituzione. Perciò la sua scomparsa non avrebbe conseguenze significative sulla stabilità del Governo. E poi perché Raisi non è molto popolare: i cittadini non lo considerano capace”, spiega Bremmer intervistato dal Corriere della Sera. Bremmer, intervistato prima dell’ufficialità della morte di Raisi, pensa che per il ruolo di nuovo presidente Khamenei “punterebbe senza dubbio su una figura ultra-conservatrice, che sia fedele a lui e che sia in grado di garantirsi la fiducia delle Guardie della rivoluzione: i pasdaran diventano ogni giorno più potenti” La Guida suprema poi terrà anche conto della sua successione: “Non solo il leader supremo è molto vecchio, ma circolano voci attendibili che sia malato da tempo di cancro. La questione di chi prenderà il suo posto è molto, molto sentita”.

La Repubblica islamica, vessata dalle sanzioni economiche e coinvolta in un conflitto sempre più aspro con Israele, potrebbe tenere elezioni presidenziali in meno di due mesi. È questo il percorso dopo la morte di Ebrahim Raisi. La Costituzione iraniana prevede che, in caso di morte improvvisa di chi ricopre questa carica, si dovranno tenere in cinquanta giorni le consultazioni per eleggere un nuovo presidente, che in Iran ha il ruolo di capo del Governo mentre il capo dello Stato è la Guida suprema, Ali Khamenei.

Lo scenario politico-sociale

L’Iran è schiacciato dalle sanzioni economiche, soprattutto da parte degli Stati Uniti, imposte fin dalla fondazione della Repubblica islamica nel 1979 ma rinvigorite in molteplici occasioni. Oltre alle sanzioni e al loro impatto sull’economia del Paese, le prossime consultazioni si terrebbero anche all’ombra dell’eterno conflitto tra la Repubblica islamica e Israele. Uno scontro che dopo l’inizio della guerra a Gaza si è inasprito ulteriormente e, dopo anni di raid contro obiettivi filo iraniani in Siria e Libano, è arrivato in aprile per la prima volta al livello di attacchi diretti sul territorio dei due Paesi. Le consultazioni che hanno visto vincere Raisi nel 2021, con il 72 per cento dei consensi, erano state le presidenziali con l’affluenza più bassa nella storia della Repubblica islamica, con circa il 49 per cento degli aventi diritto esprimere una preferenza e oltre il 13 per cento di schede bianche o nulle.

Secondo molti analisti, le ragioni dell’astensione riguardarono in gran parte la squalifica della maggior parte dei candidati, circa 600 moderati e riformisti, che ha lasciato spazio di fatto esclusivamente agli ultraconservatori. Un copione simile si è ripetuto solo pochi mesi fa, durante le consultazioni parlamentari dell’1 marzo che hanno visto soltanto il 41 per cento della popolazione andare alle urne, segnando un nuovo record. In questo caso, la bassa affluenza è stata dovuta non solo alla squalifica di molti candidati riformisti ma anche all’impatto della durissima repressione delle proteste antigovernative esplose alla fine del 2022 dopo la morte della ventenne curda Mahsa Amini, uno degli eventi più tragici che si è consumato durante l’amministrazione di Raisi. Una nuova elezione, secondo gli analisti, potrebbe rinvigorire il movimento di protesta che si era formato quando Mahsa perse la vita, dopo essere stata messa in custodia dalla polizia morale perché non portava correttamente il velo.

I durissimi scontri tra manifestati e polizia portarono alla morte di oltre 500 persone e ci furono arresti di massa. Le dimostrazioni si spensero dopo alcuni mesi ma le ragioni della contestazione non sono scomparse, soprattutto in un contesto dove si è spesso inasprito il giro di vite sulle donne che non portano l’hijab. Anche i gruppi dissidenti all’interno dell’Iran, tra cui alcuni legati al cosiddetto Stato islamico e responsabili di attentati nel Paese durante l’amministrazione Raisi, potrebbero cercare di trarre vantaggio da una situazione di questo tipo. Il campo ultraconservatore cercherebbe un candidato affine a Raisi, cercando di dare continuità a quanto fatto da quest’ultimo, la seconda figura più importante in Iran dopo Ali Khamenei, a cui è molto vicino. È stata la stessa Guida suprema a cercare di rassicurare la popolazione ma l’annuncio della morte di Raisi sarebbe destinato ad avere profonde conseguenze sulla politica nella Repubblica islamica. Lui stesso è sempre stato considerato infatti uno dei più probabili candidati ad essere il successore di Khamenei, assieme a Mojtaba, il figlio della Guida suprema.

Chi era Ebrahim Raisi

Nato nel 1960 a Mashad, la seconda città più importante dell’Iran, Ebrahim Raisi è stato studente di teologia e giurisprudenza islamica della Guida Suprema, Ali Khamenei. Appena ventenne – sulla scia degli eventi della rivoluzione – venne nominato procuratore generale di Karaj, uno dei sobborghi di Teheran. Procuratore capo della capitale dal 1989 al 1994, vice capo della magistratura dal 2004, poi procuratore generale, nel 2016 Raisi venne messo da Khamenei a capo della Astan Quds Razavi, una delle più grandi fondazioni religiose del Paese che sovrintende al santuario dell’Imam Reza di Mashad. Tre anni dopo divenne capo della magistratura. Fa parte dell’Assemblea degli esperti, l’organo che elegge la Guida Suprema. Sposato con Jamileh Alamolhoda, docente all’Università Shahid Beheshti di Teheran, e padre di due figlie, può vantare anche un legame di parentela (è il genero) con la guida della preghiera del venerdì a Mashad, l’influente ayatollah Ahmad Alamolhoda. Sanzionato dall’Amministrazione Trump per i suoi presunti abusi nel campo dei diritti umani, per l’opposizione all’estero è legato indissolubilmente alla cosiddetta Commissione della morte, un tribunale speciale voluto dall’ayatollah Khomeini in persona che nel 1988 condannò al patibolo – secondo il Center for Human Rights in Iran – migliaia di prigionieri politici iraniani.

Intervistato sulle purghe, Raisi negò qualsiasi coinvolgimento e alla sua prima conferenza stampa dopo le elezioni sostenne di aver “sempre” difeso i “diritti umani”. Assai più intransigente si mostrò verso gli attivisti dell’Onda verde che nel 2009 protestavano contro la rielezione di Mahmoud Ahmadinejad. “A coloro che parlano di compassione islamica e perdono, noi rispondiamo: continueremo ad affrontare i rivoltosi fino alla fine e – diceva – sradicheremo questa sedizione”. Il 19 giugno, giorno della conferma della sua vittoria alle presidenziali, promise di fare del suo “meglio per migliorare i problemi della popolazione” e due giorni dopo rispose con un secco “no” a un giornalista che gli chiedeva se fosse disposto a incontrare il presidente americano Joe Biden.

Chi è Mohammad Mokhber

Nato il primo settembre del 1955 a Dezful, Mohammad Mokhber è diventato primo vicepresidente nel 2021 quando Raisi è stato eletto presidente. Mokhber faceva parte di una squadra di funzionari iraniani e di pasdaran che a ottobre si sono recati Mosca e hanno accettato di fornire missili terra-superficie e droni Shahed all’esercito russo per portare avanti la guerra in Ucraina. In precedenza, Mokhber era a capo del Setad, un fondo di investimento legato al leader supremo. In quel ruolo aveva disposto di vendere e gestire le proprietà abbandonate negli anni successivi alla rivoluzione islamica del 1979. In passato è stato a capo dell’Esecuzione dell’Ordine dell’Imam Khomeini (Eiko), presidente del consiglio di amministrazione della Banca Sina e vice governatore della provincia del Khuzestan. Possiede due dottorati di ricerca, inclusa una tesi di dottorato e un master in diritti internazionali. Ha prestato servizio come ufficiale nel corpo medico del Corpo delle guardie della Rivoluzione islamica, i pasdaran, durante la guerra Iran-Iraq. Nel luglio del 2010 l’Unione europea ha sanzionato Mokhber insieme ad altri individui ed entità per presunto coinvolgimento in “attività nucleari o missilistiche balistiche”. Due anni dopo lo ha rimosso dalla lista. Nel 2013 il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha aggiunto Setad e 37 società da esso supervisionate a un elenco di entità sanzionate.

Aggiornato il 21 maggio 2024 alle ore 10:02